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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 25 settembre 2014 alle ore 14:41.

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CITTÀ DEL VATICANO
È il primo intervento radicale di Papa Francesco in tema di lotta alla pedofilia dentro la Chiesa. E dai contorni clamorosi: ieri infatti in Vaticano è stato arrestato l'arcivescovo Jozef Wesolowski, già nunzio apostolico (ambasciatore) della Santa Sede nella Repubblica Dominicana, da tempo sotto inchiesta penale da parte della magistratura vaticana e sanzionato da parte delle autorità ecclesiastiche. L'alto prelato, per motivi di salute, è stato posto agli arresti domiciliari. La notizia - diffusa per primo dal Tg La7 - è stata confermata dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi.
A Wesolowski - già condannato in prima istanza dalla Congregazione della Dottrina della Fede alla riduzione allo stato laicale al termine di un processo amministrativo penale canonico, perdendo per questo l'immunità diplomatica - sono stati notificati i capi di imputazione del procedimento penale avviato a suo carico per gravi fatti di abuso a danni di minori avvenuti nella Repubblica Dominicana. «La gravità degli addebiti - ha detto Lombardi - ha indotto l'ufficio inquirente a disporre un provvedimento. L'iniziativa assunta dagli organi giudiziari dello Stato è conseguente alla volontà espressa del Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede».
Parole chiare e azioni nette su una vicenda dai lati oscuri e che ha messo in luce uno spaccato di comportamenti che avevano fatto scattare indagini da parte delle autorità della Repubblica Dominicana: la documentazione sui fatti accertati era stata trasmessa alla magistratura polacca, nazionalità di origine del prelato che tuttavia, essendo diplomatico accreditato, è anche cittadino vaticano a tutti gli effetti. Da qui, le richieste della procura di Varsavia al Vaticano. Monsignor Wesolowski, 66 anni, polacco, alle spalle una lunga carriera diplomatica, era nunzio a Santo Domingo dal gennaio 2008. Papa Francesco lo aveva richiamato a Roma nell'agosto 2013 in seguito proprio alle accuse. L'ex nunzio a Santo Domingo in particolare è stato accusato di aver adescato ragazzini sulla spiaggia pagandoli per compiere atti sessuali. Oltre che a Santo Domingo - dove l'arcivescovo cardinale Nicolas Lopez Rodriguez si era appellato direttamente a Papa Bergoglio affinché intervenisse dopo che il caso era scoppiato - l'ex prelato è indagato anche nel suo paese d'origine, la Polonia.
Wesolowski, dopo la riduzione alla stato laicale - periodo nel quale ha usufruito di una relativa libertà di movimento in attesa delle decisioni dell'ex Sant'Uffizio - nel giugno scorso aveva proposto appello, sul quale probabilmente arriverà a breve una decisione. Ma rispetto a quanto fu detto tre mesi fa è chiara una netta accelerazione del procedimento penale, che inizialmente sembrava si potesse tenere dopo quello canonico. Ma i tempi evidentemente sono davvero cambiati, effetto anche - osserva una fonte vaticana - del lavoro svolto dal precedente pontefice Benedetto XVI sul tema pedofilia. Il caso Wesolowski (scoppiato su denuncia di una coraggiosa giornalista locale) era stato al centro anche delle dure critiche del Comitato Onu contro la tortura nei confronti della Santa Sede. In più occasioni il Comitato di Ginevra aveva chiesto al Vaticano di garantire indagini immediate e imparziali sulla condotta del Nunzio a Santo Domingo. L'ultima richiesta dell'Onu risale a maggio scorso. Sulla possibilità che invece possa essere giudicato in altri Paesi al momento non ci sono elementi: dipende infatti dall'esistenza di trattati di estradizione tra Stati (finora non richiesti) o dall'esecuzione di mandati di cattura internazionali.
Anche se si tratta di una vicenda completamente diversa, torna comunque alla ribalta di nuovo la giustizia penale vaticana. Nel maggio 2012 fu arrestato l'aiutante di camera di Papa Benedetto, Paolo Gabriele, per furto di documenti dall'appartamento papale, vicenda simbolo di quello che poi è stato ribattezzato Vatileaks, uno scandalo complesso e dai contorni ancora molto oscuri che ha contribuito in un modo o nell'altro anche alla rinuncia del Papa. Gabriele fu inizialmente rinchiuso nelle prigioni vaticane che si trovano nei locali della Gendarmeria. Al termine del processo fu condannato a 18 mesi di reclusione, ma poi graziato dal Papa a Natale 2012, poche settimane prima di dimettersi.

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