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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2014 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 26 settembre 2014 alle ore 08:58.

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Tempi lunghi e molti intralci per la manovra messa in campo dal Governo per garantire alle piccole medie imprese italiane un taglio del 10% alle bollette elettriche. L'Authority per l'energia, sulla quale il decreto divenuto legge dell'agosto scorso ha scaricato il compito di concretizzare la promessa, ha avviato la difficile missione con la delibera 477 del 18 settembre scorso, ma si è trovata subito di fronte ad almeno due macigni, che potrebbero ritardare la missione di settimane se non addirittura di mesi rispetto alla piena operatività sancita per il 1 gennaio prossimo.

Primo ostacolo: l'opzione concessa ai beneficiari degli incentivi per le rinnovabili di compensare almeno in parte i tagli imposti con un meccanismo di cartolarizzazione con il coinvolgimento di istituti finanziari "europei" si scontra con un intralcio che si era già manifestato nella gestazione del provvedimento: l'obbligo, imposto dalle regole comunitarie, di cumulare il valore di questa transazione al volume di debito pubblico del paese.

Le regole Ue
L'obiezione aveva già fatto naufragare l'ipotesi di assegnare il compito di finanziatore "cuscinetto" alla nostra Cassa depositi e prestiti o anche al Gse, il gestore pubblico dei sussidi per le rinnovabili. Solo la Ue - confermano all'Authority - può risolvere il rebus. Il parere è stato chiesto. Probabilmente arriverà solo dopo valutazioni e verifiche che non si presentano semplici.

Secondo ostacolo: come canalizzare davvero le risorse che deriveranno dal ridimensionamento degli incentivi verso la platea desiderata? Una platea infinitamente più vasta di quella dei grandi consumatori industriali a cui erano stati dedicati gli "sconti" ai super-energivori. Anche qui l'Authority, per evitare pericolosi contenziosi da chi dovesse ritenersi escluso ingiustamente, dovrà mettere a punto un meccanismo complesso e sofisticato.

A ciò si aggiungono le ben note incognite oggetto di dibattito durante la messa a punto del decreto. All'orizzonte, in particolare, l'ondata di ricorsi predisposti dalle associazioni dei produttori di energia verde che si ritengono colpiti in maniera illecita da un provvedimento comunque retroattivo, che modifica norme su cui si basano sia il business plan degli operatori che i meccanismi di finanziamento concordati per costruire gli impianti.

Sussidi da asciugare
Ricordiamo che per i tagli ai sussidi già assegnati agli operatori degli impianti fotovoltaici che supera i 200 kilowatt di potenza la norma in questione offre agli operatori quattro opzioni. La prima prevede che il premio venga erogato su 24 anni invece che su 20 con un ridimensionamento dell'importo annuale. La seconda possibilità prevede che l'operatore mantenga i 20 anni di erogazione ma con una rimodulazione al ribasso assai forte nei primi anni con una parziale compensazione negli anni seguenti. La terza opzione prevede una riduzione dell'incentivo per scaglioni di potenza: 5% per gli impianti tra i 200 e i 500 kW, 7% per quelli tra i 500 e i 900 kW, 9% per quelli che superano anche questo tetto. La quarta opzione, introdotta alla fine dell'acceso dibattito che ha portato al varo del provvedimento, prevede appunto una risoluzione anticipata finanziata da un operatore finanziario terzo da individuare con un asta.

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TAG: Pmi, CDP, Gse

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