Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2014 alle ore 06:38.

My24

La guerra al Califfato con la decapitazione dell'ostaggio Hervé Gourdel in Algeria colpisce al cuore la Francia, il Paese europeo più impegnato nei raid in Iraq, e toglie in maniera dolorosa e barbarica il velo al mondo arabo-musulmano, scoprendo i volti nascosti o dimenticati di un'instabilità sempre presente, di un'insicurezza cronica, appena mascherata dall'ordine inefficace imposto da regimi discutibili. E si pensa inevitabilmente con angoscia ad altri ostaggi, anche nostri, nella speranza che sfuggano alla logica perversa dell'Isil e dei suoi complici.
Ma non è difficile intuire che in questi episodi esecrabili generati da un conflitto nel Medio Oriente allargato c'è qualche cosa di più della barbarie: il possibile inizio di una guerra estesa a tutto il mondo islamico e oltre, senza più confini regionali o continentali. La stessa guerra in Siria e in Iraq sappiamo che è la continuazione di altre guerre e non ci sono più remore neppure da parte dell'Iran ad ammettere lo schieramento dei suoi Pasdaran a fianco delle milizie sciite irachene. I limiti dei raid aerei occidentali, che sul terreno affidano ad altri incontrollabili attori il lavoro sporco in Siria e Iraq, sono facilmente prevedibili: assisteremo a nuove selvagge operazioni di pulizia etnico-religiosa, a esodi di intere popolazioni.
Nel combattere il Califfato si creano le premesse per altri infiniti conflitti. Così come l'allarme per il terrorismo in Europa e in Occidente appare la prosecuzione, forse ancora più capillare e inquietante, delle paure esplose con l'11 settembre e le Due Torri. Allora accadde l'inimmaginabile, l'America bersagliata al centro del sistema, oggi percepiamo che si può realizzare ciò che un tempo appariva impossibile. E neppure al-Qaeda costituisce più un riferimento: il gruppo salafita Jund al Khalifa che ha giustiziato il cittadino francese è appena nato da una scissione della sua branca nel Maghreb (Aqmi).
L'era di internet, delle comunicazioni globali, delle frontiere più o meno aperte, dei flussi umani e finanziari, non consente più comode soluzioni: non si possono né erigere Muri né sigillare i confini. Il messaggio di morte lanciato dallo Stato Islamico e dai suoi alleati ha un duplice scopo: impaurire gli avversari sul terreno ma anche in casa loro.
In questa vicenda tragica c'è la situazione specifica dell'Algeria. La decapitazione di Gourdel non sorprende chi ha seguito da vicino gli eventi algerini degli anni 90, dall'ascesa del Fronte islamico di salvezza (Fis) al colpo di stato del 1992: cominciò così un decennio di massacri con oltre 200mila vittime del terrorismo. Nella morgue di Algeri si fotografavano cadaveri decapitati, sgozzati, sezionati dalle lame islamiche, con gli arti ricuciti dal filo di ferro per poterli miseramente ricomporre e celebrare i funerali. Delle 200mila vittime, uccise non soltanto dagli estremisti ma anche dalla guerra sporca delle forze di sicurezza, quasi nessuno in Occidente oggi si ricorda: queste ferite sanguinano perché l'Algeria, uno dei nostri maggiori fornitori di gas, non è mai guarita dall'odio e dalla ferocia.
L'Algeria, come dice uno dei suoi scrittori più famosi, Yasmine Khadra, è un Paese convalescente: i suoi antichi mali, dalla corruzione all'estremismo, non sono spariti mentre l'autunno del patriarca Bouteflika, rieletto alla presidenza in primavera per la quarta volta, non garantisce il futuro. Ma ora un interrogativo si fa sempre più bruciante: oggi è toccato alla Francia e domani?
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi