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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2014 alle ore 09:30.
L'ultima modifica è del 26 settembre 2014 alle ore 12:25.

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Molti lo hanno già paragonato al caso Yukos: e davvero la campagna contro Vladimir Evtushenkov, l’oligarca a cui viene contestata la legittimità dell’acquisto della compagnia petrolifera Bashneft, assomiglia sempre di più alla storia di Mikhail Khodorkovskij e della sua Yukos perduta. Venerdì mattina la Corte moscovita di arbitrato ha ordinato il sequestro delle azioni della compagnia, mentre Evtushenkov - accusato di riciclaggio - il giorno prima si era visto respingere la richiesta di cauzione, dovrà restare agli arresti domiciliari. E tutto questo avviene su uno sfondo sempre più burrascoso dei rapporti tra Russia e Unione Europea. Se in giornata Russia, Ue e Ucraina torneranno a parlarsi a Berlino per affrontare di nuovo la crisi del gas, il ministro dell’Energia russo Aleksandr Novak ha messo le mani avanti, ricordando ai «partner europei» che si sono impegnati a “girare” all’Ucraina parte del gas acquistato da Mosca, come hanno fatto Polonia, Ungheria e Slovacchia, che i contratti non prevedono che il gas venga riesportato. «Speriamo che i nostri partner rispettino gli accordi - ha avvertito Novak da Berlino, in un’intervista ad Handelsblatt -. E’ il solo modo per assicurarsi che non ci siano interruzioni nelle consegne ai consumatori europei».

Dal mese di giugno la Russia, che attende da Kiev rimborsi per 5,3 miliardi di dollari, ha sospeso le forniture di gas all’Ucraina. Parlando di «ragioni tecniche», giovedì la compagnia petrolifera ungherese Fgsz ha dichiarato di aver sospeso a tempo indefinito le consegne all’Ucraina, uno stop che Naftogaz, la compagnia ucraina, ha definito «inatteso e inesplicabile». Tre giorni fa a Budapest il primo ministro Viktor Orban aveva incontrato il capo di Gazprom, Aleksej Miller: venerdì alla radio Orban ha spiegato di aver concordato con il monopolio russo forniture aggiuntive per poter rafforzare le riserve di gas custodite nei depositi ungheresi.

Tornando a Evtushenkov, se all’oligarca vengono contestate violazioni relative al processo di privatizzazione di Bashneft, il tentativo dello Stato di riacquisire la proprietà della compagnia confermerebbe il sospetto che i guai di Evtushenkov nascano dal rifiuto di venderla alla Rosneft di Igor Sechin, il potente alleato di Putin, il nome più in vista nell’elenco dei personaggi posti sotto sanzioni negli Stati Uniti. Rosneft, primo produttore russo di petrolio, è diventata un colosso proprio grazie all’annessione delle proprietà di Yukos, sequestrata a Khodorkovskij dieci anni fa.

Bashneft, che nasce nella repubblica russa del Bashkortostan, è controllata da Afk Sistema, la holding di Evtushenkov, considerato da Forbes il 15/o uomo più ricco di Russia, con una fortuna di 9 miliardi di dollari. Il magnate si è dichiarato estraneo alle accuse, ma intanto le azioni di Sistema sono crollate del 14,4%, e del 6,2% quelle della controllata Bashneft. Dalla scorsa settimana la holding di Evtushenkov ha perso circa il 40% in Borsa e oltre 3
miliardi di dollari di capitalizzazione. Alcuni esponenti del governo russo avevano già ammonito nei giorni scorsi che la vicenda potrebbe avere ripercussioni sul clima degli investimenti in Russia.

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