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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 16:47.
L'ultima modifica è del 28 settembre 2014 alle ore 18:43.

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Michal Kwiatkowsk (Afp)Michal Kwiatkowsk (Afp)

Prima o poi doveva capitare. Come c'è stato qualche anno fa il primo papa polacco, Karol Woytyla, adesso nel ciclismo arriva il primo campione del mondo polacco su strada.
Si chiama Michal Kwiatkowski, ha 24 anni, e ha avuto il merito di cogliere il famoso attimo, quello che tutti invocano ma poi quasi nessuno afferra. Il polacco invece l'ha afferrato nel modo migliore: staccando nella penultima discesa il treno dei big e andando poi a riprendere un quartetto di fuggitivi che, oltre al nostro Alessandro de Marchi, comprendeva il francese Gautier, il danese Andersen e il bielorusso Kiryenka.

Siamo a circa sei chilometri dall'arrivo. Manca solo l'ultimo strappo, quello che poi porta di slancio al traguardo. A questo punto Michal (lo chiamiamo per nome solo perché il cognome è un pericoloso groviglio di consonanti), prende di nuovo il volo lasciando il quartetto al suo destino.

Anche il nostro De Marchi, unico sopravvissuto degli azzurri, molla il colpo. Non ne ha più. Da troppo tempo pedala col vento in faccia. Poi con questo polacco non c'è trippa. È caricato a molla. Determinatissimo. Se ne accorgono anche gli spagnoli e i belgi che, con un ultimo disperato forcing, cercano di riacchiapparlo. Ma ormai è troppo tardi: Michal scollina con una manciata di secondi di vantaggio e poi va giù in picchiata verso il traguardo. Bye bye, ci vediamo alla premiazione.

Secondo l'australiano Simon Gerrans, già vincitore della Liegi. Il terzo è inutile dirlo: è il solito Alejandro Valverde, un Paolino Paperino del pedale, ormai abbonato alla terza piazza (tre bronzi nelle ultime tre edizioni). In totale Valverde ha collezionato 6 podi, due argenti, quattro bronzi. Gli manca solo l'oro. Come dire: è bravo, certo. Fa trenta ma non fa mai trentuno.

Per gli spagnoli, padroni di casa, e sempre spaccati tra loro, è una bella fregatura. Uno smacco che brucia. Non a caso Alberto Contador, vincitore della Vuelta, si era sfilato dalla nazionale dando forfait. Aveva capito che tirava brutta aria. E che era meglio evitare brutte figure.

E gli italiani? Mah, infierire non è giusto: diamo un sei di incoraggiamento. Davide Cassani, il neo cittì, ha riassunto bene la situazione : «Sapevamo di non avere un finalizzatore, soprattutto se la corsa si decide nell'ultimo strappo. Devo quindi elogiare tutti. Gli azzurri, fino a cinque chilometri, sono sempre stati nel vivo della gara. Di più non si poteva fare...».

Cassani ha ragione soprattutto su una cosa: che non avevamo una punta. Lo si sapeva. Come si sapeva che Nibali, non al top e dolorante a una gamba, non avrebbe potuto inserirsi nella bagarre finale. Forse abbiamo esagerato prima. Nel continuare ad accendere la corsa con fughe e contro fughe che hanno bruciato, per esempio, uno in palla come Lombardi, già davanti a 60 chilometri dall'arrivo.
Così nel momento decisivo, quando belgi e spagnoli si sono riorganizzati per riacciuffare il polacco, non avevamo nessuno. Resta un dubbio: e se l'avessimo avuto? Sarebbe cambiato qualcosa? Pensiamo di no. E poi con i “se” e con i “ma” non si va da nessuna parte. Si torna solo a casa. Con le pive nel sacco.

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