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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 19:44.
L'ultima modifica è del 28 settembre 2014 alle ore 20:03.

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Domani alla direzione del Pd la maggioranza renziana e le minoranze interne dovranno trovare un accordo sulla riforma del mercato del lavoro e in particolare sullo snodo cruciale dell’articolo 18. Il capogruppo al Senato del Nuovo Centrodestra, Maurizio Sacconi, che è anche relatore del ddl delega sul Jobs act, ha ribadito che «dall'articolo 18 non si torna indietro rispetto alla mediazione realizzata nella maggioranza. Semmai, per fare lavoro, si può andare ancora più avanti». Matteo Renzi non ha problemi numerici nella direzione nazionale, visto che i suoi “contano” il 67%. Il “parlamentino” del Pd, infatti, è composto sulla base dei risultati delle primarie dell'8 dicembre 2014, dove il premier ottenne una larghissima maggioranza. Questa la geografia delle varie anime del Pd rappresentate in direzione.

I renziani controllano il 67% della direzione
I fedelissimi del premier-segretario ( Boschi, Guerrini, Serracchiani, Lotti) controllano il 67% della direzione e appoggiano in pieno il progetto di riformare le regole sul lavoro. Del già numeroso gruppone renziano fanno ormai parte anche i seguaci di Dario Franceschini, tra i quali c'è il capogruppo in Senato Luigi Zanda

I giovani turchi sono capitanati da Orfini
L'area dei “giovani turchi” raccoglie un gruppo di quarentenni di provenienza Ds, spostatisi su posizioni vicine a quelle di Renzi, anche sulla riforma del lavoro e sull'articolo 18. Il leader è Matteo Orfini, presidente del partito. “Giovane turco” è anche il ministro della Giustizia Orlando.

I bersaniani ritengono “di sestra” la posizione di Renzi
La sinistra dem ha il suo leader in Gianni Cuperlo e il suo punto di riferimento in Pierluigi Bersani. Spingono per modificare in modo sostanziale il Jobs act, bollano come “di destra” la posizione di Renzi sull'articolo 18 ma non vogliono sentire parlare di scissione. Due le tendenze: una (Cuperlo e il capogruppo alla Camera Roberto Speranza) più disposta a trattare, l'altra più intransigente (Bersani, Fassina, Damiano). Dell'area fa parte anche Rosy Bindi, che ha sciolto il suo gruppo.

Più irremovibili i civatiani, ma hanno pochi rappresentanti
I civatiani hanno la posizione più irremovibile sul no al jobs act ma hanno pochi rappresentanti in direzione. Pippo Civati ha anche evocato la possibilità di una scissione. Con lui ci sono Corradino Mineo e e Felice Casson.

I popolari sul Jobs act sono con Renzi
I popolari raccolti intorno a Beppe Fioroni, al congresso hanno appoggiato Cuperlo ma sul jobs act sono con Renzi.

Qualche riserva fra i lettiani sulla riforma del lavoro
Enrico Letta ha sciolto il suo gruppo e si tiene fuori dalle polemiche. I suoi (tra i quali c'è il presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia) esprimono qualche riserva sul Jobs act.

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