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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2014 alle ore 08:13.

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La sfida della Catalogna alla Spagna è ora ufficiale e dichiarata, nero su bianco. Il governatore catalano Artur Mas ha firmato ieri mattina il decreto di convocazione del referendum sull'indipendenza che si svolgerà il prossimo 9 novembre. Nell'ultimo atto dello scontro con Madrid, e con il governo di Mariano Rajoy, il leader autonomista ha spiegato che l'obiettivo del referendum «è conoscere l'opinione sul futuro politico della Catalogna». Immediata e ampiamente prevista la risposta del governo spagnolo che ha ribadito l'illegittimità del referendum e ha annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale per bloccare la consultazione.
«Vogliamo votare, vogliamo decidere e ora ci troviamo nella situazione adeguata per farlo», ha detto Mas, dopo la firma del decreto, accompagnato dall'applauso dei suoi fedelissimi e da tutti i gruppi politici che hanno dato il loro sostegno alla votazione popolare. Mentre fuori dal Palau della Generalitat nel centro di Barcellona, centinaia di cittadini sventolavano la bandiera gialla e rossa catalana al grido di «indipendenza». Sono più dell'80% i catalani che si dichiarano a favore del referendum. Molti di questi non chiedono la scissione, ma una maggiore autonomia da Madrid. Mentre i duri che insistono sulla separazione dalla Spagna sono poco più della metà dei 7,5 milioni di abitanti della regione.
Ma Madrid si oppone con fermezza. «Il referendum non si farà, perché è incostituzionale. L'iniziativa di Mas è un grave errore. Nessuno può mettersi al di sopra della legge e nessuno è al di sopra della volontà di tutti gli spagnoli», ha detto il vicepremier spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria. «Abbiamo già avviato la procedura per il ricorso alla Corte Costituzionale. Una volta che il decreto verrà sospeso non potrà esserci alcuna attuazione», ha spiegato Santamaria annunciando un Consiglio dei ministri già domani.
La legge spagnola non prevede infatti la possibilità una delle diciassette regioni voti sull'indipendenza dal resto del Paese. Solo il Parlamento nazionale, con maggioranza qualificata, può autorizzare un simile referendum. Sono tuttavia sempre di più, i costituzionalisti che - di fronte alla mobilitazione catalana a favore del referendum - sostengono se non la legalità, quantomeno la legittimità, delle rivendicazioni della regione e ritengono necessario che si arrivi a un compromesso.
Da anni la Catalogna, la regione più ricca del Paese con un Pil di 200 milioni che vale il 20% del prodotto interno lordo spagnolo, assieme alle altre regioni spagnole chiede di rivedere un sistema di autonomie nel quale le amministrazioni locali pur controllando oltre un terzo della spesa pubblica complessiva, con la responsabilità totale su servizi essenziali come la sanità e la scuola, dipendono quasi interamente dai trasferimenti statali.
«La Catalogna vuole dialogare, vuole essere ascoltata e vuole votare», ha detto il governatore in un discorso in catalano, castigliano e inglese nel quale in più passaggi si è rivolto agli spagnoli e anche ai leader dei Paesi europei. «Siamo aperti a trattare ma non possiamo cadere nell'immobilismo vestito di presunta legalità, che contrasta con quello che avviene in altri Stati che parlano e lasciano parlare, che negoziano per lasciare parlare», ha aggiunto Mas, facendo riferimento al voto in Scozia dieci giorni fa. I rapporti con l'Unione europea sono una della questioni più delicate nel «processo di sovranità della Catalogna». Molti cittadini ma soprattutto le imprese temono che la Catalogna separandosi dalla Spagna si ritrovi sola, fuori dall'Europa.

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