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Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2014 alle ore 13:20.
L'ultima modifica è del 29 settembre 2014 alle ore 20:25.

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Mariano Rajoy (Epa)Mariano Rajoy (Epa)

La risposta del governo di Mariano Rajoy alla sfida della Catalogna è arrivata puntuale e irremovibile. Il ricorso di Madrid contro il referendum sull’indipendenza convocato sabato dal governatore catalano Artur Mas è già stato consegnato alla Corte Costituzionale. «Nè l’oggetto, né il processo che dovrebbe portare al voto sono compatibili con la Costituzione spagnola», ha detto il premier conservatore al termine del Consiglio dei ministri convocato in forma straordinaria per rispondere alle rivendicazioni della Catalogna.

«Siamo obbligati a fare ricorso contro il referendum del 9 novembre per difendere la Costituzione», ha spiegato Rajoy aggiungendo che «ancora siamo in tempo per reindirizzare il confronto» e accusando Mas di aver preso «decisioni unilaterali fino al punto di non ritorno per obbligare gli altri ad accettarle senza discussione».

In serata la Corte Costituzionale ha fatto sapere che il ricorso del governo è stato accolto e il referendum catalano è stato quindi bloccato. In attesa di una decisione sul merito, l’Alta Corte ha sospeso cautelativamente la legge referendaria votata dall’Assemblea catalana e il decreto firmato sabato da Mas per stabilire le regole del voto e chiamare alle urne i catalani il prossimo 9 novembre. «Possiamo tornare a parlare con la Catalogna o con le altre regioni di questioni fiscali e d economiche. Ho sempre ricevuto, da capo del governo, ogni delegazione regionale che ha chiesto di parlare con me. Ma non possiamo accettare che la legge venga violentata», ha aggiunto Rajoy.

La legge spagnola non prevede la possibilità una delle diciassette regioni voti sull'indipendenza dal resto del Paese. Solo il Parlamento nazionale, con maggioranza qualificata, può autorizzare un simile referendum. Sono tuttavia sempre di più, i costituzionalisti che - di fronte alla mobilitazione catalana a favore del referendum - sostengono se non la legalità, quantomeno la legittimità, delle rivendicazioni della regione e ritengono necessario che si arrivi a un compromesso.

«Vogliamo votare, vogliamo decidere e ora ci troviamo nella situazione adeguata per farlo», aveva detto Mas, dopo la firma del decreto al Palau della Generalitat nel centro di Barcellona. Ma Madrid aveva subito reagito con fermezza. «Il referendum non si farà, perché è incostituzionale. L’iniziativa di Mas è un grave errore. Nessuno può mettersi al di sopra della legge e nessuno è al di sopra della volontà di tutti gli spagnoli», aveva risposto il vicepremier spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria, annunciando il ricorso.

Da anni la Catalogna, la regione più ricca del Paese con un Pil di 200 miliardi di euro che vale il 20% del prodotto interno lordo spagnolo, assieme alle altre autonomie spagnole chiede di rivedere il sistema di autonomie che assegna alle 17 regioni il controllo di oltre un terzo della spesa pubblica complessiva, con la responsabilità totale su servizi essenziali come la sanità e la scuola, ma le costringe a dipendere quasi interamente dai trasferimenti statali.

Difficile ora prevedere i prossimi sviluppi di uno scontro, quello tra il governo di Madrid e i leader della Catalogna, che sembra aver cancellato ogni possibilità di dialogo, ogni negoziato per arrivare a una soluzione condivisa, ogni compromesso che metta d’accordo il principio di unità nazionale con quello di autodeterminazione del popolo catalano. «La Catalogna vuole dialogare, vuole essere ascoltata e vuole votare», aveva detto Mas sabato in un discorso in catalano, castigliano e inglese nel quale in più passaggi si era rivolto agli spagnoli e ai leader dei Paesi europei. Ieri il CiU, il partito di Mas, ha fatto sapere che il ricorso del governo «avrà conseguenze gravi», mentre i duri della sinistra nazionalista chiedono di andare al referendum comunque.

«Siamo aperti a trattare ma non possiamo cadere nell’immobilismo vestito di presunta legalità, che contrasta con quello che avviene in altri Stati che parlano e lasciano parlare, che negoziano per lasciare parlare», aveva aggiunto il leader indipendentista, lasciando aperto uno spiraglio al negoziato. «In questo momento - ha detto Rajoy - la priorità è difendere la Costituzione. Mi aspetto che in Catalogna la legge spagnola venga rispettata. Poi si può parlare di riforme e si può discutere delle richieste che vengono dalle regioni autonome».

Il giudizio della Corte Costituzionale in ogni caso non potrà dare una risposta definitiva alla questione catalana. Forse darà più tempo a Rajoy e Mas per tornare a trattare. Ma, sia che la Catalogna vada a votare, magari in referendum informale senza alcun valore legale, sia che venga impedita ogni forma di consultazione, tra Madrid e Barcellona si dovrà trovare una soluzione.

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