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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 15:22.

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ROMA - Giovanni Legnini conquista Palazzo dei marescialli. Il sottosegretario all'Economia candidato al Csm dal Pd e fin dall'inizio destinato alla vicepresidenza, ieri ha tagliato il traguardo vincendo le ultime resistenze di una parte dei togati, dovute al suo passaggio diretto dai ranghi del governo a quelli del Consiglio. Su 25 voti, ne ha ottenuti 20, forse qualcuno meno del previsto (tre le schede bianche, una nulla con il nome di Teresa Bene e una per Giuseppe Fanfani, ritiratosi dalla corsa) ma comunque abbastanza per configurare un «ampio consenso», come sottolineato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, necessario a dare «nuovo slancio» al Csm, «accrescendone il prestigio». Poco prima, Napolitano era stato testimone della decisione, presa all'unanimità, di dichiarare «ineleggibile» la professoressa napoletana Teresa Bene, eletta dal Parlamento in quota Pd, nonché della dura reazione dell'esclusa (si veda l'articolo a fianco). «Il tempo richiesto per l'elezione dei componenti del Csm, che non si è ancora conclusa, va rapidamente recuperato» si è augurato il Capo dello Stato. Che, uscendo da Palazzo dei marescialli, ha anche auspicato «una fumata bianca» nella seduta pomeridiana per la Consulta. Così non è stato poiché Pd e Forza Italia hanno deciso di continuare a votare scheda bianca e di tenere congelati i rispettivi candidati, Luciano Violante e Donato Bruno. Anche se quest'ultimo, in serata, ha fatto sapere di «rimettere nelle mani di Silvio Berlusconi» la sua candidatura per uscire dallo stallo, confermando tuttavia di non aver ricevuto, «a tutt'oggi», alcun avviso di garanzia per la vicenda di Isernia (dove secondo indiscrezioni, finora non smentite, sarebbe indagato) né per altre vicende. Domani si torna al voto, mentre per il Csm la data è da definire.

Legnini, dunque, ha bucato il muro di diffidenza dei togati, in particolare quelli di Area (il cartello delle correnti più progressiste), con cui aveva avuto fitti colloqui nei giorni scorsi, fino a lunedì sera. Il suo discorso di insediamento è stato molto apprezzato perché tiene conto delle "garanzie" che gli chiedevano: dal riconoscimento della centralità del plenum rispetto alla gestione degli ultimi anni ritenuta troppo verticistica alla rivendicazione della piena titolarità del Csm a intervenire sulle riforme della giustizia, su cui è in atto un forte scontro con il governo. Oltre, naturalmente, alla tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Aspettative che hanno trovato un preciso riscontro nelle parole del neoeletto vicepresidente. Legnini ha anzi invitato il Csm ad «accettare la sfida delle riforme» perché «il pieno recupero dell'efficienza della giustizia» è un obiettivo da cui dipende la fiducia dei cittadini e il recupero di competitività del Paese. Ragione di più per «legittimare» il Csm a «esercitare le sue prerogative di proposta e di espressione dei pareri, attenendosi sempre ai profili contenutistici dei singoli provvedimenti, senza invasioni di campo ma esercitando tale prerogativa con decisione e lungimiranza». «Rapidità dei giudizi e certezza del diritto - ha proseguito Legnini - sono il presupposto per tornare a guardare ai giudici e ai pm come detentori prestigiosi e affidabili di una funzione che è e dovrà essere sempre autonoma, indipendente e imparziale». Perciò il Csm dovrà «segnalare in modo puntuale» le norme che risultassero «in concreto non aderenti» agli obiettivi indicati e quelle «eventualmente lesive del ruolo e della funzione costituzionale dei magistrati».
Ai componenti del Csm Legnini ha chiesto di «eludere le tentazioni corporativiste» anche in funzione degli impegni, «forse senza precedenti», che li attendono. A cominciare dalle nomine di 400 capi e vice capi degli uffici giudiziari (tra cui quella del Procuratore di Palermo, definita «urgente» e «già in parte istruita») per le quali la bussola dovrà essere essenzialmente il merito. Conversando con i giornalisti si è poi detto convinto che la controversa questione delle ferie delle toghe avrà «una conclusione positiva» e ha invitato il Parlamento a pronunciarsi al più presto sul reato di autoriciclaggio. Al premier, che fra i motivi a sostegno della riforma dell'articolo 18 indica anche la presunta mancanza di «certezza del diritto» a causa della lunghezza dei tempi delle decisioni sul reintegro, ha replicato: «Eviterei di scaricare sui magistrati il problema dei tempi lunghi della giustizia».
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