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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 12:24.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2014 alle ore 12:39.

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Manuel Valls (Afp)Manuel Valls (Afp)

PARIGI - Serietà sì, austerità no. È questo lo slogan scelto nelle ultime settimane dai dirigenti politici francesi per preparare il terreno al difficile e complesso negoziato con Bruxelles (e Berlino) sull'ennesimo rinvio – il terzo in sei anni - degli obiettivi di riduzione del deficit. Ha iniziato il presidente Hollande nella sua conferenza stampa del 18 settembre: «Sarebbe un grave errore ridurre a tappe forzate il nostro deficit in questo contesto di crescita debole e bassa inflazione». Gli ha fatto eco il premier Valls nel chiedere al Parlamento la fiducia al suo Governo bis: «Abbiamo fatto una scelta chiara, una scelta politica, non ci saranno aumenti delle tasse e neppure tagli supplementari alla spesa pubblica». Lo ha ribadito il ministro delle Finanze Sapin nel presentare, questa mattina, la Finanziaria 2015: «Rispettiamo gli impegni sulla riduzione della spesa. Ed è già molto».

Messaggio a Berlino
Aggiungendo l'ormai consueta allusione a Berlino: «Abbiamo fatto e stiamo facendo quello che ci è stato chiesto. La Francia si assume le proprie responsabilità, spetta ora all'Europa assumere le proprie. E penso in particolare ai Paesi con un bilancio in surplus».
Quale difesa è migliore dell'attacco? Ecco, in sostanza, la posizione di Parigi. Che ha formalizzato la decisione di rinviare al 2017 il target di un deficit inferiore al 3% del Pil (2,8%, mentre quest'anno sarà del 4,4% e del 4,3% nel 2015) e messo a punto una Finanziaria che tratteggia uno scenario quantomeno problematico: la pressione fiscale rimarrà sostanzialmente inalterata (44,6% del Pil rispetto al 44,7% di quest'anno); la spesa pubblica diminuirà di pochissimo (56,1% del Pil rispetto al 56,5%); mentre il debito pubblico, che ha appena superato la soglia simbolica dei 2mila miliardi, salirà ancora (al 97,2%) per raggiungere il 98% nel 2016.
E a proposito della spesa pubblica – la più alta in Europa e sul banco degli imputati per la sua generosa inefficienza – se è vero che il Governo ha deciso una riduzione di 50 miliardi in tre anni (21 dei quali l'anno prossimo) è altrettanto vero che non si tratta di un taglio in volume (e tantomeno in valore), bensì di un sia pur forte rallentamento della crescita tendenziale (+0,2% rispetto all'1,7%).

«Circostanze eccezionali»
Per evitare le sanzioni e ottenere il via libera della Commissione al nuovo rinvio, Parigi chiama in causa le «circostanze eccezionali» previste dai Trattati, sottolineando la debolezza della crescita (0,4% quest'anno e 1% il prossimo, dopo due anni di aumento dello 0,3%).
Il problema è che va molto a rilento anche il calo del deficit strutturale, al netto cioè degli effetti congiunturali: sarà ancora del 2,4% quest'anno e del 2,2% nel 2015, con un pareggio previsto solo nel 2019. Sarà insomma dura, per Parigi, convincere Bruxelles e Berlino della fondatezza delle sue decisioni.
Alla fine è molto probabile che un accordo verrà trovato e che la Francia sarà ancora una volta accontentata. Ma a di là dell'esito della discussione europea, deve davvero rendersi conto dell'urgenza, della necessità di cambiare profondamente un sistema arcaico e costosissimo. Purtroppo la conclusione della vertenza dei piloti di Air France e i tentennamenti sull'accesso alle professioni regolate o sulle aperture degli esercizi commerciali la sera e la domenica non inducono all'ottimismo.

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