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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 06:38.

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Non solo ancora una fumata nera sulla Corte costituzionale ma anche la figuraccia di aver mandato al Csm una persona «ineleggibile», la professoressa napoletana Teresa Bene, in quota Pd, accreditata come candidata del guardasigilli Andrea Orlando di cui è stata consulente quand'era ministro dell'Ambiente, eletta dal Parlamento in seduta comune il 15 settembre con 486 voti ma ieri "decaduta" dall'incarico con un voto unanime del Csm. Che quindi nasce già zoppo.
Il capo dello Stato Giorgio Napolitano, che ha presieduto il primo plenum del Csm, si è «rammaricato» dell'accaduto, rimproverando alle Camere, eufemisticamente, «qualche frettolosità e disattenzione». Raccontano che, a fine seduta, si sia rammaricato anche della reazione della Bene e delle sue parole («Una decisione errata, nel merito e sul piano procedurale; infondata, strumentale, frettolosa, che lede palesemente i miei diritti di partecipazione») perché obiettivamente stonata rispetto al contesto normativo e fattuale e all'unanimità del verdetto. Ma tant'è. Lo spettacolo andato in scena nell'aula Bachelet - un Organo di rilevanza costituzionale costretto, alla sua prima seduta, a estromettere un componente per mancanza dei titoli - è più che grottesco. È mortificante. Rimanda l'immagine di una politica superficiale o, al contrario, in preda a un delirio di onnipotenza che, nell'uno e nell'altro caso, ha smarrito il senso delle istituzioni e delle responsabilità cui è chiamata.
L'ineleggibilità della Bene era "citofonata", per usare un termine in voga. Era infatti più che prevedibile ma è stata ignorata. Fin da quando è stata proposta, su quella candidatura sono emersi dubbi, non legati alla persona ma alla compatibilità del suo curriculum con l'incarico al Csm. E durante le votazioni precedenti la fumata bianca, erano arrivati segnali anche da Palazzo dei Marescialli. Sarebbe bastata una seria verifica delle norme e dei precedenti per evitare quanto è poi accaduto.
L'articolo 104 della Costituzione stabilisce che i membri laici del Csm debbano essere professori ordinari di Università in materie giuridiche o avvocati con 15 anni di esercizio della professione. Il 2 novembre 2011, il Csm approvò una delibera - in occasione della verifica dei titoli del professor Adalberto Albertoni, eletto dal Parlamento - in cui chiarì che non basta l'iscrizione all'Albo degli avvocati: bisogna dimostrare l'effettivo esercizio della professione (per esempio con l'iscrizione all'Albo dei Cassazionisti, che richiede 12 anni di esercizio davanti a Corti d'appello e Tribunali). Iscritta all'ordine degli avvocati di Napoli dal '94, la Bene è stata ricercatore universitario dal 2002 e, dal 2005, professore associato. Qualifiche che, per le modalità svolte (a tempo pieno), sono incompatibili con l'esercizio dell'attività libero professionale nonché con consulenze esterne o incarichi retribuiti (articolo 11 Dpr 382/80; articolo 6 legge 240/2010). Quanto basta per cambiare cavallo. Il Parlamento, invece, l'ha eletta lo stesso. Ieri è stato ricordato che il 20 settembre la commissione del Csm ha convocato la Bene per segnalarle il "deficit" del suo curriculum e chiederle chiarimenti o integrazioni. Il 27 settembre, con una nota, lei ha spiegato di aver svolto negli ultimi 15 anni consulenze stragiudiziali ad altri colleghi avvocati a titolo gratuito e, più raramente, a pagamento. «A prescindere da ogni valutazione circa la compatibilità di tale attività con il divieto di legge», ha osservato ieri Maria Rosaria San Giorgio per conto della commissione, l'attività indicata dalla Bene manca dei requisiti di «continuità e sistematicità che connotano necessariamente l'effettivo esercizio della professione di avvocato». Di qui l'ineleggibilità, confermata anche dopo altre due note (ritenute generiche oltre che tardive) inviate via email nella tarda serata di lunedì.
Un epilogo annunciato, insomma. Con buona pace di quella «certezza del diritto» troppe volte invocata a sproposito e mai troppo, invece, rispettata.
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