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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2014 alle ore 08:29.

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Alla testa del Consiglio Ue Donald Tusk è un'altra fedele creatura del cancelliere: credo liberale, autore del miracolo economico polacco. Idem per Dijsselbloem, socialista olandese ma di strette convinzioni tedesche.

Ammesso e non concesso che i suoi proconsoli a Bruxelles non si rivelino leali come dovrebbero - accadde a Margaret Thatcher: inviò a Bruxelles l'euroscettico Lord Cockfield per romperne i giochi ma se lo ritrovò contro, folgorato dal progetto europeo - il cancelliere ha comunque approntato un'efficiente e ben organizzata seconda linea. A diversi livelli e in tutte le istituzioni.
Tedeschi sono i potenti segretari generali del Consiglio e del Parlamento europeo, Uwe Corsepius e Klaus Welle. In cima alla piramide del servizio diplomatico europeo, al posto del francese Pierre Vimont, un'altra tedesca, Helga Schmid, l'interfaccia di Federica Mogherini, la nuova Mrs Pesc.
Nella Commissione, su un totale di 28, saranno tedeschi almeno sei capi di Gabinetto (compreso quello del presidente, Martin Selmayr) e dieci vice. Spesso un capo di gabinetto ha un ruolo più incisivo del proprio commissario e quasi sempre, a fine mandato, si riconverte agli apici della struttura dell'Esecutivo Ue. Ma la penetrazione programmata della Germania nelle istituzioni europee non si ferma certo qui.
Oggi in Commissione detiene quattro direzioni generali, Eurostat, Ambiente, Fondi Regionali e Interni, e sei vice-direzioni (Industria, Ricerca, Bilancio, Sviluppo e Agricoltura), oltre a quasi una trentina di direttori.

A parte presidente e segretario generale del nuovo Europarlamento e i capigruppo di popolari, verdi e sinistra Gue, sono tedeschi i presidenti di cinque commissioni: Esteri, Commercio internazionale, Controllo di bilancio, Industria e Energia, Trasporti . In altre parole, ormai in aula non passa foglia che un tedesco non voglia, tenuto conto anche del fatto che, per ragioni demografiche, la Germania vanta il più folto numero di eurodeputati. Lo stesso si può dire per le altre istituzioni: soprattutto quando di mezzo ci sono l'economia, gestione e settori collaterali, Berlino è il dominus incontrastato, non ha quasi bisogno di parlare, i suoi uomini giusti nei posti e nei palazzi giusti sanno muoversi discretamente ed eseguire coscienziosamente.
Fosse oggi la Germania una superpotenza illuminata, attenta all'interesse comune oltre che al proprio, la sua crescita politica sarebbe provvidenziale e benvenuta in un'Europa divenuta un preoccupante magma di debolezze allo sbando. Purtroppo non è così.
«La Germania oggi è prigioniera di autismo politico, considera la Francia la sua sorella minore e l'Italia quella minorata», riassume brutale un diplomatico europeo. La controprova viene dalla cronaca che non fa le prime pagine dei giornali, come le polemiche su deficit, debiti, crescita e flessibilità dei patti, ma disegna nella distrazione dei più i connotati dell'integrazione o della disintegrazione del mercato unico, di quello finanziario, di una possibile politica industriale, climatica e energetica europea.

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