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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 07:00.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2014 alle ore 08:29.

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Su questi fronti strategici Berlino, che pure pretende anzi impone ai partner l'europeizzazione delle sue virtù economiche, quando in gioco ci sono i suoi interessi settoriali non conosce Europa né neutralità, neppure quando non le costerebbe niente farlo. Gli esempi sono tanti. Troppi.
Famosa la battaglia per la riduzione delle emissioni delle auto. Campioni della lotta contro la Co2 che ora vorrebbero tagliare del 40% (invece del 20 attuale) aumentando anche l'efficienza energetica al 30% e il ruolo delle rinnovabili al 27% tra le proteste dei Paesi dell'Est e dell'Italia, penalizzati così nella competitività a breve, quando in discussione ci sono stati i limiti da fissare per i gas di scarico delle loro grandi cilindrate, i tedeschi hanno frenato senza pudori, nonostante la disponibilità degli altri produttori Ue ad accettare standard più elevati.
Ferrovie, quarto pacchetto di liberalizzazione tecnica e politica, come indicato dall'Europarlamento. La parte sull'interoperabilità è stata approvata dal Consiglio dei ministri, l'altra no per la ferma opposizione di Germania (e Francia) all'unbundling, cioè alla separazione tra i gestori della rete e dei servizi. Motivo? Con i proventi della rete la Deutschbahn è in grado di tenere in vita i suoi operatori di servizi decotti cannibalizzando al tempo stesso i mercati altrui grazie all'armonizzazione tecnica sul mercato unico. Protezionismo e distorsioni di concorrenza evidenti ma irrilevanti ...non nuocciono a Berlino.

L'anno scorso nuovo codice Ue degli aiuti di Stato al settore energetico, introduzione di una certa armonizzazione delle sovvenzioni alle energivore. Naturalmente i Paesi con margini di bilancio ne possono beneficiare, gli altri no. Risultato: le imprese italiane migrano in Baviera dove i costi dell'elettricità sono più bassi grazie agli aiuti pubblici.
Si potrebbe continuare a lungo. Con i pedaggi autostradali imposti in Germania solo agli stranieri. Con gli accordi di libero scambio e i dazi anti-dumping confezionati secondo i desiderata tedeschi. O, molto peggio, con l'Unione bancaria: tra un mese nascerà amputata del controllo europeo sulle banche non sistemiche, che nell'Eurozona sono in tutto 3.532 di cui circa la metà, 1.697, sono tedesche, casse di risparmio e cooperative pronte a finanziare le imprese, specie se in sintonia con il potere locale e non.
Concorrenza sleale, soprusi del più forte sui più deboli? Certo. Di questo passo però il mercato unico non si completa ma si distrugge. Un interrogativo: fino a quando l'Europa potrà resistere alla sempre più clamorosa discrasia tra le buone regole, inviolabili, del patto di stabilità e i cattivi comportamenti in piena libertà di chi viola di prepotenza e impunemente le leggi del mercato unico?
«La Germania in Europa ormai si fa la sua politica da sola», afferma un negoziatore consumato. Colpa anche della colpevole assenza di Francia e Italia. Resta che un autismo tedesco senza freni alla lunga rischia di fare sfracelli senza ritorno. Altro che criminalizzazione della Grecia.

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