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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 06:37.

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Se due paesi del calibro di Francia e Italia, vale a dire la seconda e terza economia europea, invocano il ricorso alle "circostanze eccezionali" previste dai Trattati, si pone quanto meno un problema per Bruxelles. Difficile ignorarlo, e opporre, come sembra ritenere il portavoce del commissario Ue agli Affari economici, Jirky Katainen, il rispetto sic et simpliciter delle raccomandazioni rivolte in giugno al nostro paese.
Se non è un "asse" antirigore formalizzato, quello tra Francia e Italia, di certo alla luce della linea esposta ieri dal ministro delle Finanze Michel Sapin («la Francia si è assunta le sue responsabilità, ora sta all'Europa assumersi le sue»), la convergenza è nei fatti.
Già in occasione dell'ultimo Ecofin informale di Milano è emersa con chiarezza la necessità di spingere con forza sul pedale della crescita. Si è in attesa che il piano europeo per il rilancio degli investimenti prenda corpo. Nel frattempo, Roma e Parigi marciano compatte in direzione di quel «miglior uso della flessibilità» adombrata nel Consiglio europeo di fine giugno. Formula generica, che si presta a diverse interpretazioni ma che per Italia e Francia va nella stessa direzione: più tempo per conseguire gli obiettivi fissati dal Fiscal compact. Se Parigi prevede di rientrare entro il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil non prima del 2017, Roma annuncia che pur rispettando il target del deficit nominale, rinvierà il pareggio di bilancio in termini strutturali anch'essa al 2017. Situazioni di partenza diversificate, perché la Francia non deve fare i conti come l'Italia con un debito pubblico che nel 2015 supererà il 133% del Pil, e tuttavia entrambi i Paesi devono affrontare gli effetti nefasti della perdurante stagnazione. E la stessa Germania non può certo opporre a oltranza il dogma del rigore a senso unico.
Al di là delle dichiarazioni di rito e delle prese di posizione, per certi versi scontate, dei vertici della Commissione, la realtà è che la "rilettura" della disciplina di bilancio europea è già in atto. Sarà una strada lastricata di difficoltà e di residue diffidenze, ma difficilmente la nuova Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, non appena si insedierà (vale a dire tra un mese) potrà non tenerne conto. Si cercherà una via di compromesso, aprendo (soprattutto nel caso dell'Italia) una linea di credito condizionata, per poi pronunciare il verdetto definitivo la prossima primavera.
L'alternativa di fatto non c'è, perché richiamare Parigi e Roma al rigido rispetto degli impegni assunti equivarrebbe alla richiesta di manovre correttive dei saldi di finanza pubblica. L'effetto sarebbe appunto l'"avvitamento" paventato dal ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan.
Di certo non si combatte recessione e deflazione solo salvaguardando l'apparente integrità dei conti pubblici. Con la politica monetaria che sta per giocarsi tutti i residui spazi a disposizione, e con la politica di bilancio bloccata dai precetti europei, non vi è alternativa alla flessibilità. Che poi si decida di accordarla, salvaguardando formalmente l'architettura dei Trattati, è altra questione, fa parte della normale dialettica politico-diplomatico e dei ruoli che ogni soggetto in campo rivendica per sé. Ma il risultato alla fine non potrà che orientarsi in questa direzione.
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