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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2014 alle ore 18:00.
L'ultima modifica è del 04 ottobre 2014 alle ore 10:44.

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(Ap/LaPresse)(Ap/LaPresse)

Hong Kong, sesto giorno di proteste: scoppia la violenza nel distretto di Mong Kok, quartiere dello shopping a buon mercato e dei ristorantini, e a Causeway Bay dove vi sono oggi scontri fra i manifestanti contrari all'ingerenza di Pechino nelle elezioni del 2017 e quanti si oppongono alle manifestazioni che paralizzano la città. «Diverse centinaia di gruppi ostili a Occupy Central (la principale sigla anti-Pechino, ndr) - scrive il South China Morning Post - hanno rotto i cordoni di polizia, abbattuto le tende dei manifestanti eattaccato gli studenti. Ad impartire le direttive agli aggressori, principalmente maschi, una donna di mezza età con indosso una maschera all'incrocio tra Argyle Street e Nathan Road».

Dopo una giornata così, gli studenti annunciano l’abbandono del tavolo dei colloqui con il governo dell'ex colonia britannica. I leader degli studenti hanno accusato la polizia di aver consentito a bande di criminali di attaccare i manifestanti filodemocratici accampati nelle piazze della metropoli. La Hong Kong Federation of Students (HKFS) ha detto di «non avere altre opzioni che quella di sospendere i colloqui» volti a trovare un accordo per mettere fine alle proteste «dopo che il governo e la polizia hanno chiuso un occhio di fronte agli atti di violenza da parte di picchiatori contro i pacifici manifestanti di Occupy».

Gli scontri nel quartiere di Mong Kok hanno portato ai primi feriti e ai primi arresti, almeno due. Altre otto persone si troverebbero in stato di fermo. Sono centinaia gli agenti impiegati in questa zona dove, nelle scorse ore è esplosa la rabbia tra gli studenti e centinaia di persone identificate come anti-Occupy.

Benny Tai, uno dei leader di Occupy Central, ha dichiarato di temere un coinvolgimento della Triade (organizzazione criminale) dietro gli attacchi al movimento che da giorni occupa le strade della città. La polizia, ora, a Mong Kok, fatica a mantenere l'ordine mentre i disordini proseguono a più riprese tra migliaia di persone che occupano la strada fronteggiandosi a distanza ravvicinata.

In un accordo in extremis, ieri sera, il contestato governatore Leung Chun-yin aveva detto che non si sarebbe dimesso come chiedeva la piazza ma aveva concesso l'avvio di un dialogo e la maggior parte dei dimostranti in serata era tornato a casa, ma oltre 100 persone sono rimaste a bloccare l'uscita di un palazzo governativo sulla Lung Wo Road.

Della situazione continuano a risentire i mercati: nuovo calo in Borsa per la piazza di Hong Kong, con l'indice Hang Seng che ha aperto a -1,16 per cento.

I rapporti tra i manifestanti e la polizia si sono deteriorate da quando domenica gli agenti hanno iniziato a fare ricorso massiccio all'uso di gas lacrimogeni e urticanti e ieri sono state viste arrivare casse di proiettili di gomma.

Pechino ha intanto nuovamente ribadito il forte sostegno a Leung - di cui l'opposizione come un “mantra” chiede le dimissioni - e alla polizia contro «gli atti illegali» dei manifestanti. Da ultimo, oggi, un editoriale del Quotidiano del Popolo, organo del Partito Comunista, conferma l'irremovibile posizione cinese sulle elezioni del 2017: «La decisione (del 31 agosto) dell'attuale comitato del Congresso Nazionale del Popolo, è una decisione necessaria e la sola decisione» aggiungendo che i dimostranti stanno agendo «contro i principi legali e sono destinati a fallire».

I moti in quella che fino al 1997 è stata ex colonia britannica sono stati scatenati il 31 agosto quando è stato annunciato che ad Hong Kong (formalmente una “Regione Amministrativa Separata” le cui relazioni con Pechino sono regolate in base al principio «uno stato, due sistemi») nel 2017 il successore del governatore Leung, definito «chief executive», sarà scelto dai residenti ma tra una rosa di candidati scelti da Pechino.

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