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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2014 alle ore 15:07.
L'ultima modifica è del 03 ottobre 2014 alle ore 16:46.

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La fiducia sul Jobs act è nel «novero delle possibilità, non è esclusa». Lo ha confermato il consigliere economico di Palazzo Chigi, Yoram Gutgeld, lasciando la sede del Governo dopo una riunione con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Che ha trascorso la mattina al lavoro con i suoi consiglieri per sbrogliare la matassa della legge delega sul lavoro che mercoledì andrà al voto dell’assemblea di Palazzo Madama. Con i centristi della maggioranza che premono perché sia approvato il testo della delega varato dalla commissione, più generico, e la minoranza dem che chiede di emendarlo, specificando subito i criteri di regolamentazione della reintegra per le ipotesi più gravi di licenziamento disciplinare (il “compromesso” raggiunto nella direzione del Pd del 29 settembre).

Taddei: il Governo decide oggi
«Oggi è la giornata del chiarimento da parte del Governo sulle procedure che intende seguire al Senato», ha chiarito il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, a margine del Festival delle generazioni a Firenze. Confermando che l’obiettivo resta quello di un voto sulla riforma del lavoro e dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori «entro la prossima settimana». Non è un mistero che Renzi vorrebbe incassare il via libera il giorno stesso del vertice europeo sul lavoro, cioè proprio mercoledì 8 ottobre.

Minoranza dem avverte: no fiducia, sì emendamenti
Se Taddei ha di nuovo invitato a leggere il Jobs act nel suo insieme e non soltanto «al tema più divisivo», come una riforma che assicuri «ai lavoratori che lavorano insieme, nello stesso posto di lavoro, gli stessi diritti se hanno lo stesso tipo di mansioni», la minoranza Pd avverte il premier. Per il senatore Vannino Chiti, che aveva guidato la fronda interna durante l’esame del ddl costituzionale sul nuovo Senato, «bisogna partire» dai punti approvati dalla direzione Pd: «È impensabile che non vengano posti nel testo che sarà votato al Senato». «Mettere la fiducia sul Jobs act sarebbe la soluzione peggiore sotto ogni punto di vista», affermano i senatori “riformisti” Federico Fornaro, Maria Grazia Gatti e Cecilia Guerra. «Non si recepirebbero, infatti, i passi in avanti del documento della direzione Pd, seppur parziali e insufficienti, e soprattutto si impedirebbe ai parlamentari di contribuire con gli emendamenti a migliorare la legge delega». La pensa così anche Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera, che incalza: «Mettere la fiducia sul Jobs act sarebbe una scelta molto grave, si impedirebbe al Parlamento di portare il suo contributo al miglioramento della delega».

Poletti: nessuno deve stare a casa ad aspettare
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, già ieri sera a Otto e mezzo aveva ipotizzato il ricorso alla fiducia nel caso in cui l’iter al Senato si fosse dimostrato accidentato. Oggi intervistato in videoconferenza dal direttore della Stampa per i dieci anni della Piazza dei Mestieri di Torino, ha promesso un cambiamento «del sistema degli ammortizzatori sociali, delle tutele, delle politiche sociali, avendo sempre l'idea che la comunità deve occuparsi dei propri cittadini, mentre la mano pubblica deve aiutarli e favorirli a costruire le condizioni di base ed eventualmente gestire i livelli minimi a cui è necessario dare risposta». Al bando l’assistenzialismo, insomma. Per Poletti, «nessun italiano deve stare a casa ad aspettare». «Dobbiamo passare da una storia fatta essenzialmente di trasferimenti monetari, cioè ti do un po’ di soldi perché tu stia a casa ad aspettare, a una in cui mi impegno ad aiutarti se tu esci di casa».

Alla formazione serve un disegno nazionale
«Una formazione gestita esclusivamente nella dimensione regionale - ha detto Poletti - non ci aiuta a costruire punti di coordinamento e neppure nell'usare al meglio le risorse». La proposta che il Governo sta studiando, per inserirla nella riforma degli ammortizzatori sociali, è quella di trasformare la formazione in «un disegno condiviso a livello nazionale, magari poi anche con una gestione regionale, perché abbiamo bisogno di dare unità a questo impianto».



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