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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2014 alle ore 14:04.
L'ultima modifica è del 05 ottobre 2014 alle ore 16:39.

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La posizione italiana. L'Italia ha fatto molto bene a stare nelle regole sia perché le deroghe vanno concordate sia perché (stante il nostro elevato debito pubblico e la precaria credibilità del nostro Paese) l'effetto di una nostra rottura sarebbe stato molto negativo per noi e per l'Eurozona. Per questo l'aggiornamento del documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri il 30 u.s. è condivisibile e porta l'impronta della professionalità del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Il disegno è quello di passare dalla gestione della nostra peggiore crisi del dopoguerra ad un consolidamento fiscale sostenibile e alle riforme strutturali per la crescita. Ciò significa utilizzare tutti gli spazi di flessibilità presenti nel patto di stabilità e crescita per rilanciare gli investimenti pubblici produttivi, per ammorbidire i temporanei effetti negativi delle riforme strutturali, per rilanciare la produttività e la competitività delle imprese, anche con una significativa riduzione del cuneo fiscale, per aprire vere prospettive di lavoro soprattutto alle giovani generazioni, per ristrutturare l'apparato pubblico (burocrazia, semplificazioni, fiscalità, revisione della spesa). È il programma di riforme sui 1000 giorni che dobbiamo sperare riesca senza rinunciare di volta in volta a critiche costruttive. Quanto al programma del Governo sui conti pubblici siamo in linea con le regole europee (puntigliosamente e giustamente citate nel Def!) e con le flessibilità ammesse in casi di riforme strutturali e di recessioni in corso. Infatti, il deficit sul Pil nel 2014 sarà al 3% e nel 2015 del 2,9% (con un aumento deliberato di 0,7% sul dato a legislazione vigente), l'avanzo primario sul Pil rimarrà uno dei più alti della eurozona per le necessità del nostro debito pubblico, la convergenza a medio termine al pareggio strutturale di bilancio viene spostata al 2017. Salvo che per il debito pubblico, l'Italia rispetterà i vincoli europei ma dovrà fare anche le riforme che da anni ci vengono richieste.

Eurozona e riforme. Non analizzeremo adesso il caso tedesco il cui rigorismo dogmatico non è fondato né sulla analisi economica né sui dati storici come conferma anche la semi-stagnazione-deflazione in cui la Uem si trova.
Pertanto, la pressione sulla Germania va accentuata lungo tre direzioni a cui abbiamo accennato all'inizio: quella sulle regole di bilancio europee che vanno subito (consensualmente) interpretate con flessibilità avviando nel frattempo la loro riforma per combinare un (efficiente) rigore sulla spesa pubblica corrente degli Stati membri con più discrezionalità sulle spese (certificate) di investimento; quella che richiami Berlino alle sue responsabilità per l'accumulo di surplus eccessivi; quella per il finanziamento con nuovi strumenti di mercato alle infrastrutture secondo i programmi di Europa 2020, delle grandi reti trans-europee e, più di recente, di Juncker. Se queste decisioni saranno adottate, allora lo strappo francese diventerà lo stimolo per "un patto europeo di crescita" per il quale l'Italia deve battersi.

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