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Questo articolo è stato pubblicato il 06 ottobre 2014 alle ore 13:07.
L'ultima modifica è del 06 ottobre 2014 alle ore 17:02.

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«Il Tfr in busta paga è previsto che si farebbe su base volontaria». Lo ha ribaditoil ministro dell'Interno, Angelino Alfano, a margine di una conferenza stampa. Sull'ipotesi di portare in busta paga dei lavoratori il Tfr, ha infatti detto il ministro, «ci sono stati importanti chiarimenti, primo fra tutti che se dovesse essere introdotto avverrebbe su base volontaria».

Bonanni: in busta paga solo a tasse zero
«Non vorrei che l'operazione Tfr serva solo per la casse dello Stato, per incamerare 5 miliardi. Se ha a cuore i lavoratori Renzi faccia tasse zero per il Tfr», ha detto il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, a margine del vertice europeo dei sindacati.

Giannini: d’accordo con Renzi per il Tfr in busta paga
«La proposta del Tfr in busta paga che è venuta fuori mi piace molto perché lascia libero il lavoratore di scegliere e non svuota le casse delle imprese. Io dico da cittadina se mi fanno scegliere sono felice se il Ttf me lo posso giocare subito. A me piace», ha affermato il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini a Mix24 su Radio 24.

Fassino: il fatto che sia volontario sdrammatizza la situazione
Sul Tfr in busta paga, il presidente dell'Anci, Piero Fassino, sottolinea il fatto che sia «volontario: chi lo vorrà utilizzare subito potrà farlo, chi vorrà accumulare la cifra lo potrà fare; questo sdrammatizza la questione», ha dichiarato il numero uno dell'Anci, intervenendo stamane a Sky Tg 24. «La questione, piuttosto, va affrontata tra governo, imprese e sistema bancario per aiutare le imprese a ottenere dal sistema bancario quanto serve», ha aggiunto Fassino.

Grillo: il Tfr in busta paga è come la corazzata Potemkin
E Beppe Grillo attacca sul suo blog. «Ma se il lavoratore (solo privato) deve avere il Tfr in busta paga, perché non lasciargli anche l'Inps affinché si garantisca una vera pensione, visto che quella dello Stato probabilmente non la vedrà mai? Il Tfr in busta paga è come `La corazzata Potemkin´ di Fantozzi, una cagata pazzesca, una fregatura per lavoratori e imprenditori, con l'unico scopo di incrementare il gettito fiscale e strappare un giorno in più al tracollo del sistema».

Consulenti del lavoro: il Tfr vale 40 euro al mese se erogato al 50%, 82 se integrale
Ma quanto varrebbe il Tfr in busta paga? Secondo le stime della Fondazione studi del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro circa 40 euro al mese se erogato al 50%, 62 qualora ne fosse destinato il 75%, e 82 euro in caso fosse inserito integralmente. Il Tfr maturato ogni anno, secondo i calcoli della Fondazione, è pari ad almeno «21 miliardi e 451 milioni di euro». Sapendo che per le imprese che superano i 49 dipendenti quel che è rimasto in azienda «viene destinato al Fondo di Tesoreria Inps, dal quale non è possibile sottrarlo per non incorrere in problemi di gettito», si specifica, tale «proposta riguarderebbe solo la metà dei lavoratori privati, ovvero i 6 milioni e 500 mila addetti di aziende private con meno di 50 occupati». Oltre a quantificare l'ammontare che ci si ritroverebbe in busta paga, se si decidesse di mantenere l'odierna agevolazione fiscale - sottolinea la Fondazione - la cifra mensile varierebbe di «circa 5 euro in eccesso». I consulenti del lavoro però, evidenziano che «la scelta di destinare il Tfr alla previdenza complementare, in seguito all'entrata in vigore della riforma della previdenza del 2006, dava la possibilità di integrare il metodo contributivo». Pertanto, se adesso si scegliesse di erogare la somma, oppure una parte di essa, «si creerebbe un danno al sistema pensionistico, direttamente proporzionale al numero degli anni per cui viene percepito l'anticipo».

Cgia: le Pmi pagheranno più tasse
«Con la riforma del lavoro e l'eventuale anticipazione del Tfr in busta paga le Pmi rischiano di pagare più tasse e di mettere in crisi la propria tenuta finanziaria», ha sottolineato in una nota il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi. «Nelle ultime settimane il dibattito sul Jobs Act si è concentrato quasi esclusivamente sulla riforma dell' articolo 18. Poco o nulla, invece, si è discusso sulla revisione degli ammortizzatori sociali». Per Bortolussi a rischio è «l'estinzione della cassa integrazione in deroga, che dovrebbe essere sostituita dal sistema della bilateralità o del Fondo residuale all'Inps». «Un nuovo sistema -spiega- che dovrebbe essere sostenuto economicamente anche dalle piccole aziende che subirebbero un incremento del carico contributivo». Ma non solo, «è probabile che l'attuale contributo sui licenziamenti dei lavoratori con un contratto a tempo indeterminato venga addirittura triplicato. Per un dipendente lasciato a casa per ragioni economiche, l'azienda dovrebbe versare all'Inps, in relazione all'anzianità lavorativa, da un minimo di 1.500 euro circa a un massimo di 4.500 euro lordi. Se un imprenditore, suo malgrado, dovesse licenziare un dipendente perché l'attività va male e non ha più le risorse per assicurargli il posto di lavoro, dove troverebbe i soldi per alimentare l'Aspi?».

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