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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 08 ottobre 2014 alle ore 06:54.

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ROMA
La fumata nera - la numero 17 per la cronaca - è arrivata puntuale anche stavolta, con tanto di calo delle preferenze per i due candidati alla Consulta, Luciano Violante (506) e Ignazio Francesco Caramazza (422). Che in serata, però, getta la spugna «per evitare - spiega all'Ansa - ulteriori coinvolgimenti del mio nome in manovre che considero non in linea con il corretto funzionamento delle istituzioni». Ancora una "vittima", dunque, dell'accordo politico tra Pd e Fi, che sembra funzionale più a bruciare i candidati che a farli eleggere. Un deficit di senso istituzionale, figlio dei veti incrociati tra e nei partiti, che il Presidente della Repubblica ha stigmatizzato nel pomeriggio con una breve, ma durissima nota (si veda l'articolo in pagina). Anche perché il sospetto che la melina politico-parlamentare punti ad arrivare al 9 novembre - quando toccherà al Quirinale nominare altri due giudici in scadenza - comincia a diventare certezza. È evidente che se le Camere scegliessero due profili politici, Napolitano opterebbe per due tecnici. Ma, "al buio", è verosimile che quest'opzione diventi quasi obbligata.
Come se non bastasse, ieri è scoppiata un'altra grana. L'avvocato Teresa Bene - eletta dal Parlamento al Csm (su indicazione del guardasigilli Andrea Orlando per andare in quota Pd) ma poi dichiarata ineleggibile dal Csm perché non in possesso dei titoli richiesti dalla legge - ha chiesto al Parlamento di sospendere l'elezione per la nomina del componente laico che dovrà sostituirla a palazzo dei Marescialli in attesa dell'esito del suo ricorso contro l'ineleggibilità (che peraltro richiederà almeno due anni per arrivare a sentenza definitiva). Di più: la Bene sostiene che a decidere dei titoli non debba essere il Csm ma il Parlamento, critica le modalità con cui è stata dichiarata ineleggibile (non le sarebbero state consentite «controdeduzioni»), chiede un «parere» sulla vicenda agli uffici legislativi di Camera e Senato e insiste affinché delle sue richieste (una inviata il 30 settembre e un'altra, di 19 pagine, ieri) venga informato il Parlamento in seduta comune. Richieste tutte respinte dai presidenti delle Camere, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Che hanno fissato il voto sul Csm per martedì prossimo (nella stessa seduta si voterà anche sulla Consulta).
Le richieste della Bene sono state illustrate da Boldrini durante la conferenza dei capigruppo convocata per stabilire la prossima seduta sul Csm (che ieri ha assegnato alla settima commissione, sull'organizzazione degli uffici, la pratica sullo scontro Bruti-Robledo alla Procura di Milano). Boldrini ha spiegato anzitutto che le Camere non hanno, neppure in via concorrente, il potere di valutare l'idoneità dei titoli dei candidati, che spetta solo al Csm, e ha ricordato che la convocazione del Parlamento è «doverosa» poiché si tratta di un «obbligo costituzionale» (a sollecitarla, la scorsa settimana, anche il Quirinale). Impossibile, infine, spiegare tutto questo al Parlamento in seduta comune poiché la convocazione viene fatta solo in qualità di "seggio elettorale". Una risposta di cui la Bene «ha preso atto», sia pure rilanciando la sua tesi secondo cui «gli uffici di presidenza sono tenuti a valutare la legittimità degli atti presupposti a un'eventuale nuova convocazione, che mette in dubbio e quindi a rischio l'espressione della sovranità popolare, che risiede nel solo Parlamento». Insomma, «il Parlamento dovrebbe riappropriarsi delle proprie prerogative» insiste l'avvocato, confermando che si rivogerà al giudice ordinario. «Stupita» di queste richieste è Donatella Ferranti (Pd), presidente della commissione Giustizia della Camera ma già segretario generale del Csm e dunque profonda conoscitrice delle regole. «La verifica dei titoli spetta istituzionalmente all'assemblea presso la quale si è eletti e non all'organo titolare del potere di elezione» spiega Ferranti, richiamando «il ben noto principio di "sovranità" degli organi assembleari». Bene hanno fatto, quindi, i presidenti di Camera e Senato ad avviare subito le procedure di nomina del componente mancante del Csm, «anche perché un nuovo rinvio non giova sicuramente né alla funzionalità del Csm né alla democrazia».
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