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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2014 alle ore 08:23.

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Sarà in fin dei conti la Cina a decidere se la megafusione tra Glencore e Rio Tinto, capace di creare un gigante minerario da 160 miliardi di $, diventerà realtà e a quali condizioni. La società guidata da Ivan Glasenberg, che solo due anni fa aveva fagocitato Xstrata, ha già capito di dover conquistare il favore di Chinalco, maggior azionista di Rio con il 9,8%. Ma dietro Chinalco c'è Pechino e il sì al merger dipenderà dall'interesse nazionale.

La Cina, che assorbe due terzi del minerale di ferro esportato nel mondo, è stanca di subire un mercato dominato da tre soli player (oltre a Rio, Bhp Billiton e Vale) e per scendere a patti con Glencore più che al prezzo guarderà ad altri potenziali vantaggi, ad esempio condizioni preferenziali per le forniture. Non solo. Dalla Cina dipenderà anche il valore di Rio: la sua frenata dei consumi, arrivata in un momento di enorme crescita dell'offerta, ha fatto precipitare il prezzo del minerale di ferro ai minimi da 5 anni, sotto 80 $/tonnellata, e molti analisti giurano che il crollo (del 40% solo quest'anno) non è finito. (Sissi Bellomo)

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