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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2014 alle ore 06:38.

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«Una violazione comune e consapevole delle disposizioni di legge». A queste conclusioni è giunto il Tribunale di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui il 24 settembre scorso ha condannato il sindaco di Napoli (ora sospeso), Luigi de Magistris, a un anno e tre mesi per le acquisizioni abusive di tabulati telefonici di parlamentare nell'inchiesta Why not, per fatti avvenuti quando era pm a Catanzaro. Secondo il collegio di primo grado «la prova della collusione tra il pm de Magistris e il consulente tecnico Genchi (Gioacchino, anche lui condannato a un anno e tre mesi, ndr) viene desunta non da sospetti o illazioni, ma da un contesto univoco», in quanto avrebbero «perseguito pervicacemente l'obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari (non chiedendo l'autorizzazione alla camera di appartenenza pur di acquisire con urgenza i tabulati». «L'obiettivo degli imputati – scrivono i giudici – non era quello investigativo, ma, disattendendo le norme, era quello di conoscere il traffico dei parlamentari (Romano Prodi, Francesco Rutelli, Domenico Minniti, Antonio Gentile, Giancarlo Pittelli e Clemente Mastella, ndr) tramite l'acquisizione di tabulati: attività illecita perché dolosamente inosservante della legge Boato». «Si tratta di una sentenza ingiusta, intrisa di violazioni di legge a iniziare dalla competenza» è stato il commento dell'ex magistrato, secondo il quale «non c'è uno straccio di prova che io fossi consapevole che le utenze erano riconducibili a parlamentari».
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