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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2014 alle ore 14:45.
L'ultima modifica è del 09 ottobre 2014 alle ore 16:39.

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Il Doge torna a casa. Non da vincitore, come aveva ipotizzato sbandierando con spettacoloso clamore la sua innocenza. Ma da vinto, dopo aver “ceduto” al patteggiamento, come hanno fatto nelle scorse settimane altri venti inquisiti dell'inchiesta Mose. E già oggi Giancarlo Galan è fuori dal carcere milanese di Opera e torna a casa, agli arresti domiciliari, a Villa Rodella, la sua dimora antica sui colli Euganei, a ridosso di Padova.

Il giudice per le indagini preliminari di Venezia Giuliana Galasso ha firmato il provvedimento per gli arresti domiciliari, in conformità alla procedura di patteggiamento avviata ieri dai legali di Galan con la Procura veneziana. La pena ipotizzata dall'accordo, e definita congrua dai magistrati inquirenti, è di 2 anni e 10 mesi, oltre a una multa da 2,6 milioni di euro. “La sanzione complessiva risponde - secondo il Procuratore Luigi Delpino e il procuratore aggiunto Carlo Nordio della Procura di Venezia - al fondamentale criterio di rieducazione contenuto nell'Art. 27 della Costituzione, e ai criteri di ragionevolezza ed economia processuale che hanno ispirato il legislatore a introdurre l'istituto del patteggiamento”. Finora è sempre stata questa la prassi seguita dal Gip per gli arrestati che hanno chiesto di patteggiare. Di fatto, il vero passaggio giudiziario si avrà in un secondo momento, precisamente il 16 ottobre, quando i legali del parlamentare saranno davanti al giudice e ai pm per entrare nel merito del patteggiamento e valutarne la congruità.

In carcere dal 22 luglio, il deputato di Forza Italia, ex presidente della Regione Veneto (per 15 anni), ex ministro delle Politiche agricole (dal 2010 al 2011), ex ministro per i Beni culturali nel quarto governo Berlusconi, è accusato di corruzione e finanziamento illecito. I pm veneziani sostengono che abbia incassato mazzette per milioni di euro da parte delle imprese del Consorzio Venezia Nuova, la società che per conto del (l'ormai morto) Magistrato alle Acque si occupa della realizzazione del Mose, al fine di rilasciare autorizzazioni ambientali regionali per il progetto infrastrutturale, o per pagare le campagne elettorali; di aver inquinato le gare dei project financing a favore delle imprese “amiche”; di essersi fatto ristrutturare la villa di Cinto Euganeo dal Consorzio stesso. Accuse durissime. Ad un personaggio che, nel Veneto, ha rappresentato per decenni il potere, e che è sempre sembrato nell'immaginario collettivo popolare un “intoccabile”. Invece, il lento sgretolamento del sistema politico regionale, che dal 4 giugno, data dei primi arresti nell'ambito dell'inchiesta, è proceduto lentamente ma inesorabilmente, ha travolto anche lui, all'improvviso sprovvisto di garantismi nazionali. La Camera dei deputati ha votato a scrutinio segreto sul via libera all'arresto cautelare: 395 i sì, 138 i no e 2 gli astenuti, dopo che il gip di Venezia aveva chiesto, a inizio giugno, la custodia in carcere per rischio di reiterazione del reato, e già la Giunta per le autorizzazioni della Camera aveva dato parere positivo, sostenendo l'assenza di un “fumus persecutionis”, ipotizzato da Forza Italia.

Poi il carcere. E subito gli interrogatori. E un memoriale di 35 pagine in cui il Doge ha voluto dire la sua sulla faccenda. Una memoria difensiva che smonta punto per punto le chiamate in correità fatte dall'ex segretaria Claudia Minutillo, dall'ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati e dall'imprenditore-manager Piergiorgio Baita, e che scoperchia ancora di più un pentolone la cui entità, per livello di corruzione e longevità degli atti corruttivi, i veneti mai si sarebbero immaginati.

Durante l'estate il dimagrimento di venti chili in carcere, le prime ammissioni, fino alla richiesta di patteggiamento di questi giorni; “una multa anche troppo benevola, rispetto alla somma complessiva delle tangenti imputate”, dicono i detrattori. Vero è che è finita un'epoca, durata anche troppo tempo. Epoca che, ci si augura non torni più; le elezioni regionali del prossimo aprile saranno un importante banco di prova. L'inchiesta Mose, invece, andrà avanti ancora, anche sui fronti esteri, con gli interrogatori che i magistrati stanno effettuando nei paesi dove sono stati depositati i capitali. Su un totale di 35 indagati, sono più di venti i patteggiamenti richiesti per il 16 ottobre. Uno solo finora è stato respinto, quello dell'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, accusato di finanziamento illecito ai partiti, i cui legali avevano proposto 4 mesi di reclusione, un pena ritenuta non congrua dal gip, cosicchè l'ex sindaco di Venezia andrà a processo.

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