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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2014 alle ore 06:38.

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Italiani meno litigiosi, magistrati iperproduttivi, ma giustizia sempre più lenta e tribunali zavorrati dall'arretrato, seppure non quanto in Germania che su questo fronte batte tutti i paesi del Consiglio d'Europa. Se questa è, brutalmente, la fotografia dell'Italia scattata dalla Cepej, non c'è da rallegrarsi per la performance registrata a fine 2012, salvo per il calo considerevole delle cause civili in entrata, che ci fa scendere dal 4° al 17° posto nella black list della litigiosità. Una buona notizia. Non rinfranca, purtroppo, constatare che i magistrati italiani continuano a smaltire più cause di quante ne entrano e che, in valori assoluti, sono i più produttivi, dopo Russia e Polonia, con oltre quattro milioni di processi chiusi in un anno. Un simile sforzo, benché lusinghiero, non basta infatti a contenere né le pendenze - più di 4 milioni e mezzo - né la durata del contenzioso, che nel 2012 è anzi aumentata di 100 giorni rispetto al 2010.
Tuttavia, il 131,3% di capacità di smaltimento delle toghe è più che una medaglia: è un dato "politico" destinato a pesare nello scontro in atto con il governo, poiché smentisce alcuni stereotipi branditi dal premier Matteo Renzi per giustificare misure come il taglio delle ferie "per velocizzare la giustizia", considerate dall'Anm populiste e punitive. Da questo punto di vista il Rapporto Cepej è un formidabile assist alla magistratura per sostenere - come ha cominciato a fare ieri - che le riforme sull'efficienza non si fanno a costo zero (per esempio senza nuove assunzioni del personale amministrativo) e neppure caricando sui cittadini oneri economici eccessivi per accedere a forme extragiudiziarie di risoluzione delle controversie, come l'arbitrato. Aumentare la produttività dei giudici è persino inutile se la macchina è inceppata per mancanza di risorse. Le cancellerie non sono in grado di reggere l'urto di una maggiore produttività - se anche fosse possibile - perché la carenza di personale amministrativo ha toccato livelli patologici. Ben venga, ovviamente, l'annunciata iniezione di 1000 nuove unità, purché si sappia che è una goccia nell'oceano. E che l'annuncio non coincide con l'effettivo ingresso di forze nuove, che richiederà del tempo per essere realizzato.
Resta il dato positivo sulla diminuzione della litigiosità, dovuto probabilmente all'introduzione, con la Finanziaria 2010, del contributo unificato anche per le opposizioni alle sanzioni amministrative - che infatti hanno registrato una caduta vertiginosa, di oltre un milione - nonché alle primissime applicazioni della mediazione. Una strada che il governo sembra voler proseguire, anche se il problema di non rendere eccessivamente oneroso l'accesso alla giustizia è reale, tanto più se il ricorso ad arbitrati e negoziazioni assistite non è incentivante e non tiene completamente fuori il giudiziario.
Infine, il Consiglio d'Europa segnala anche l'alto numero di procedimenti penali aperti in Italia rispetto alla media europea. Ma questo è un terreno scivolosissimo perché è evidente che sul dato pesa l'obbligatorietà dell'azione penale prevista nel nostro ordinamento, a differenza di molti altri stranieri. Certo, la miriade di reati andrebbe sfoltita mentre la tendenza, a quanto pare, è di aggiungerne, complice la caduta di legalità e di etica verificatasi nel nostro paese. L'idea che la sanzione penale sia la medicina inevitabile per qualunque violazione, indipendentemente dal suo disvalore sociale e, soprattutto, dalla sua efficacia rispetto ad altre sanzioni è però un'illusione.
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