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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2014 alle ore 11:36.

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Ha vinto, stravinto, Evo Morales. Il presidente della Bolivia guiderà il Paese per il terzo mandato consecutivo. Morales ha ottenuto il 60% dei voti (i conteggi definitivi non sono ancora disponibili), e dedicato il suo trionfo elettorale al leader cubano, Fidel Castro, al presidente venezuelano Hugo Chavez, e a tutti i governi «anti-imperialisti e anti-coloniali» del mondo».

Morales ha ottenuto la maggioranza dei consensi anche nella provincia di Santa Cruz, il motore economico del Paese che fino a pochi anni fa chiedeva la secessione. Ha saputo proporre un modello di governo “ibrido”, dirigista sull'energia, di mercato in altri settori.
Il suo diretto avversario, l'imprenditore Samuel Doria Medina, ha incassato il 25% dei voti, più di quanto prevedessero i sondaggi, ma non abbastanza per costringere Morales al ballottaggio.
Morales, che si era presentato al voto con l'avallo della Corte costituzionale, nonostante la Magna Charta da lui promulgata nel 2009 gli permettesse solo due mandati consecutivi al potere, governerà dal 2015 al 2020.

Un risultato, quello di ieri, che gli consente di avere il controllo al Congresso e quindi la possibilità di superare gli ostacoli dell'opposizione.
Al di là della retorica populista e anti-imperialista, Morales ha il merito di aver risanato i conti della Bolivia. Il Fondo monetario internazionale promuove la gestione macroeconomica del Paese andino soprattutto per l'accorta gestione del bilancio dello Stato. Gli osservatori più critici sostengono che il successo di Morales, nella gestione dell'economia, sia conseguenza dell'elevato prezzo del gas naturale, sui mercati internazionali delle materie prime, di cui la Bolivia è esportatore.

Morales, ex coltivatore di coca, al potere dal 2006, a 54 anni è il primo indio ad essere stato eletto alla presidenza della nazione andina, in cui l'85% degli oltre 10 milioni di abitanti sono indigeni. Nel 2009, sotto la sua presidenza, la nuova Costituzione ha riconosciuto l'autonomia dei popoli indigeni e la nazionalizzazione delle risorse naturali del Paese. Alla guida di un Paese che può vantare una crescita media del Pil superiore al 5% l'anno e una netta riduzione della povertà, Morales ha fatto l'intera campagna elettorale con la promessa di consolidare le riforme socialiste avviate a partire dal 2006.

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