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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2014 alle ore 06:56.

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PECHINO. Dal nostro corrispondente
È stato lo stesso Governatore della People's bank of China Zhou Xiaochuan a ripeterlo, alla presenza del Chief investment officer di Safe, l'ente che gestisce le riserve valutarie cinesi: Zhou, durante gli incontri che ha avuto nel mese di giugno prima con il premier Matteo Renzi, poi con il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, ha ammesso l'interesse della Cina per i mercati europei e per quello italiano in particolare.
Tutto ciò a dispetto della crisi del debito sovrano che continua a impazzare e a turbare i sonni del Vecchio Continente.
Lo shopping è in corso, con l'effetto che negli ultimi mesi c'è più Cina in Italia. Detto fatto. Gli investimenti in aziende quotate sul mercato italiano sarebbero superiori a 7 miliardi di euro e una cifra non quantificata (ma anche maggiore) sarebbe stata investita in titoli governativi italiani.
Gli acquisti, dopo le mosse su Eni ed Enel, sono proseguiti all'inizio di agosto, quando si è registrata una raffica di comunicazioni alla Consob di superamento della soglia del 2 per cento in Telecom Italia, Prysmian, Fiat Chrysler e Generali. In quest'ultimo caso l'investimento è stato di poco meno di mezzo miliardo di euro, ma va detto che si partiva da una partecipazione molto ridotta.
Di fatto, l'intensificazione dei rapporti economici tra i due Paesi ha prodotto una serie di investimenti sia diretti sia di portafogli. Un esempio? Al solo gruppo Cassa Depositi e Prestiti si possono condurre alcuni investimenti sia diretti sia di portafogli da due miliardi e mezzo di euro.
All'Italia che ha, purtroppo, un deficit da 13 miliardi di dollari con la Cina tanto attivismo non può che essere gradito. Anche perché la Cina ha bisogno di diversificare il proprio portafogli per ridurre il peso delle attività denominate in dollari. L'Italia comunque vanta asset tecnologici importanti che fanno gola a Pechino e che si prestano a questa attività di diversificazione del paniere degli investimenti.
L'accordo siglato con Pechino l'anno scorso sulla collaborazione tra i due Paesi ha avuto anche il merito di indicare chi dovrà sviluppare i progetti che potranno essere concertati tra Italia e Cina: tra questi rientrano Cassa Depositi e Prestiti, China Investment Corporation, China Development Bank (CDB, la maggiore banca di sviluppo cinese), Export Import Bank of China (Exim, banca di sviluppo concentrata sul credito all'esportazione) e China Export & Credit Insurance Corporation (Sinosure, l'agenzia che si occupa di assicurare i crediti all'esportazione e gli investimenti esteri cinesi). Non è poco.
Fondo Strategico Italiano e CIC vengono inoltre invitati esplicitamente a sviluppare possibilità di cooperazione per rafforzare le relazioni bilaterali e promuovere gli investimenti nell'interesse dei due Paesi.
Quattro mesi fa a Pechino è stato creato inoltre il Business forum il cui direttivo si riunirà per la prima volta a Roma domani. Gestito da Confindustria e dall'Ice, mentre la controparte cinese è il Ministero del Commercio e il Chinese Council for the Promotion of International Trade (CCPIT), quando si è riunito per la prima volta all'Assemblea del Popolo in occasione della visita del premier Renzi lo scorso giugno ha dimostrato le sue potenzialità: sono stati firmati numerosi contratti e accordi di collaborazione per un valore di oltre un miliardo di euro.
L'arrivo del premier Li Keqiang dovrebbe contribuire a saldare questi rapporti e a incentivare nuovi acquisti. A differenza di qualche tempo fa, i meccanismi, ora, ci sono.
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