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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2014 alle ore 08:51.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2014 alle ore 12:20.

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TOKYO – Può una economia indebolita reggere il peso di un ulteriore sforzo di consolidamento fiscale finalizzato a rispettare parametri già fissati di risanamento delle finanze pubbliche? Il dilemma che il Giappone deve risolvere sul breve termine somiglia in modo singolare a quello fronteggiato da vari Paesi europei. Il governo del premier Shinzo Abe deciderà entro la prima metà di dicembre se dare o meno il via libera definitivo a un nuovo aumento dell'Iva al 10% (dopo quello dal 5 all'8% scattato il primo aprile), già previsto e considerato necessario per poter conseguire l'obiettivo di un surplus primario del bilancio statale entro la fine dell'anno fiscale 2020.

CONGIUNTURA SFAVOREVOLE. Il Fondo Monetario internazionale nei giorni scorsi ha rivisto drasticamente al ribasso le sue previsioni sulla crescita del Prodotto interno lordo nipponico di quest'anno allo 0,9% dal +1,6% ipotizzato solo lo scorso luglio (per il 2015, la previsione si ferma ora a un +0,8% dal precedente +1%). Si è trattato della revisione più pesante effettuata dall'Fmi, che ha anche abbassato le sue stime sulla crescita globale: la circostanza ha contribuito a far perdere quasi 600 punti nelle ultime 4 sessioni all'indice Nikkei della Borsa, già sotto pressione per la correzione di Wall Street, i segnali negativi dall'economia europea e le pressioni ribassiste sui prezzi delle commodity. Quasi tutto gli indicatori segnalano che l'economia nipponica si sta riprendendo più lentamente delle previsioni dalle conseguenze del rialzo dell'Iva di aprile, che ha rappresentato il primo provvedimento non espansivo varato dall'Abenomics. Dopo un calo annualizzato del Pil del 7,1% nel secondo trimestre, le previsioni correnti sul periodo luglio-settembre ipotizzano un recupero molto modesto.

I FATTORI DI DEBOLEZZA. Dopo la fiammata del primo trimestre in anticipazione del rialzo dell'Iva, i consumi sono precipitati e resta deboli, anche perché i salari reali non tengono il passo con una inflazione che ha superato (comprendendo il fattore-Iva) il 3 per cento. Ma Jun Saito, Senior research fellow al Japan Center for Economic Research, sottolinea come un fattore altrettanto preoccupante il fatto che le scorte siano aumentate parecchio: le aziende si erano mostrate ottimiste e ora sono costrette a ridimensionare l'output (dopo il picco di inizio anno, la produzione industriale è scesa e in agosto restava di circa l'8% inferiore ai livelli di gennaio): “A meno di uno spettacolare recupero della domanda nell'immediato futuro, la produzione industriale è destinata a entrare in una fase di aggiustamento finalizzata a ridurre il livello delle scorte, salito ai livelli dell'ultima recessione nel 2012”. Dal primo trimestre di quest'anno, poi i salari reali sono diminuiti, al di là una leggera ripresa di quelli nominali: il reddito disponibile delle famiglie è sotto forti pressioni, anche per la tendenza al rialzo di vari generi di consumo legata in parte all'indebolimento dello yen. Il fattore valutario ha contribuito a aumentare i profitti aziendali, ma questo miglioramento sembra a rischio di andare piuttosto a incrementare il “retained income” delle imprese (la cui liquidità è salita a livelli record). Quand'anche i salari dovessero aumentare, ormai il relativo effetto non potrà essere sentito se non a partire dal prossimo anno. Lo yen debole, inoltre, non ha provocato l'atteso rilancio delle esportazioni, sia a causa della avanzata delocalizzazione produttiva all'estero della Corporate Japan sia alla luce di una crescita mondiale più moderata delle aspettative.

RISCHIO RECESSIONE. Finora solo una piccola percentuale di analisti ipotizza che il terzo trimestre possa portare un segno leggermente negativo del Pil, il che comporterebbe l'arrivo della recessione. Più robusta è la schiera di chi paventa il rischio-recessione più avanti, specie se sarà deciso l'ulteriore rialzo dell'Iva che – se pure scatterà in pratica nell'ottobre 2015 – avrebbe un effetto psicologico deprimente nella prima metà del 2015. Il premier Abe è strattonato. Il ministero delle Finanze, la Keidanren (la Confindustria nipponica) e da ultimo l'Fmi si sono espressi in favore del rispetto degli impegni sul percorso di risanamento delle finanze pubbliche, ma alcuni dei più autorevoli adviser del primo ministro gli consigliano di rinviare l'amara medicina.

VERSO NUOVI STIMOLI. Rispetto ad alcuni Paesi europei, il Giappone ha comunque alcuni margini di manovra più ampi. Soprattutto se l'Iva sarà alzata, è praticamente sicuro che la manovra sarà accompagnata da una serie di misure compensative. Del resto, già il precedente rialzo dell'Iva era stato varato congiuntamente a un pacchetto di stimoli fiscali da 5.500 miliardi di yen, finito peraltro per lo più in lavori pubblici di scarso sostegno ai consumi. Una nuova manovra in questo senso è già nell'aria. A questo dovrebbe aggiungersi un ulteriore allentamento della politica monetaria da parte della Banca del Giappone, che vari analisti ritengono probabile già prima della fine dell'anno. La BoJ dovrebbe abbassare le sue ottimistiche stime sull'economia nel rapporto che rilascerà il 31 ottobre. A preoccupare la banca centrale è anche il fatto che il trend di rialzo dell'inflazione _ verso l'obiettivo conclamato di un 2% da conseguire l'anno prossimo - appare infiacchito (escluso il temporaneo effetto-Iva), mettendo in gioco la sua credibilità. Nell'ultima riunione esecutiva, una esponente del board si è dissociata dal linguaggio ancora ottimista sulla probabilità di conseguire un ancoraggio delle aspettative di inflazione verso il target ufficiale (in proposito, un altro membro del board dissente fin dall'anno scorso). Il governatore Harihiko Kuroda _ che fa mostra di ottimismo più di tutti – ha comunque dichiarato che la BoJ non avrà esitazioni ad accelerare sulla sua politica monetaria già ultra-espansiva se necessario al fine di non compromettere il raggiungimento del target sull'inflazione.

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