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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2014 alle ore 07:24.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2014 alle ore 13:37.

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“La Crociata fallita” titola in copertina Dabiq, organo ufficiale dello Stato Islamico mostrando una bandiera nera che sventola sull'obelisco di piazza San Pietro a Roma. Il bilancio dei primi due mesi di incursioni aeree contro il Califfato non è certo esaltante: non più di 350 raid, effettuati quasi tutte dai jet statunitensi, non hanno fermato i jihadisti che continuano ad avanzare in Siria come in Iraq.

Per fare il punto della situazione e rafforzare lo schieramento militare si sono riuniti ieri a Washington i vertici militari di 20 Paesi che aderiscono alla Coalizione per un summit che si concluderà oggi.

Il summit, tenuto riservato fino all'ultimo e reso noto dal magazine Foreign Policy è presieduto dal generale Martin Dempsey, capo di Stato Maggiore delle forze armate statunitensi, che intende spronare gli alleati a fornire maggiori contributi aerei e la Casa Bianca ad autorizzare l'impegno di forze terrestri statunitensi per fermare l'offensiva jihadista verso Baghdad e il suo aeroporto, a ovest della città. Al di là dell'adesione politica alla Coalizione finora a schierare forze aeree sul campo di battaglia al fianco degli Stati Uniti sono stati solo una dozzina di Paesi. Gran Bretagna, Francia, Australia, Canada, Olanda, Belgio e Danimarca schierano tutti insieme una quarantina di velivoli che limitano i raid al territorio iracheno mentre sulla Siria intervengono, anche se sporadicamente, due dozzine di jet di Giordania, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Finora però tutti gli alleati arabi ed europei messi assieme hanno effettuato meno del 5 per cento delle missioni aeree volate della Coalizione alla quale anche l'Italia potrebbe nelle prossime ore aderire concretamente inviando forze militari.

L'Italia partecipa «con un impegno politicamente pieno» alla coalizione contro lo Stato islamico in Iraq e Siria e «quindi parteciperà alle decisioni che verranno prese sull'eventuale intensificazione o riorganizzazione dell'intervento militare» ha detto ieri all'Adnkronos il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova. Circa un intervento militare più diretto a il sottosegretario ha detto che «dipenderà dalle circostanze. Noi ad oggi abbiamo un impegno concreto, fattivo, di tipo logistico, che è un pezzo essenziale delle operazioni».

Fin dalla costituzione della Coalizione contro lo Stato Islamico il Ministero della Difesa aveva messo a disposizione un aereo da rifornimenti in volo da utilizzare per “fare il pieno” ai cacciabombardieri. Finora questo aereo non è stato schierato nell'area delle operazioni ma secondo indiscrezioni Roma potrebbe annunciare un rafforzamento del dispositivo militare da mettere a disposizione degli alleati pur senza contribuire con forze da combattimento. Si tratterebbe di aumentare il numero dei tanker, velivoli molto richiesti nelle operazioni contro l'Is, tenuto conto che la gran parte dei jet alleati decollano da basi per lo più situate in Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, quindi molto lontane dalle zone di combattimento. L'Aeronautica militare italiana dispone di 4 aerocisterne Boeing KC-767A e di tre aerei cargo C-130J modificabili in rifornitori. Velivoli che potrebbero operare dalla base di al-Batin, negli Emirati Arabi Uniti, dove già è presente un reparto logistico dell'Aeronautica per il supporto logistico al contingente schierato in Afghanistan.

Fonti vicine agli ambienti militari sembrano escludere che il Governo intenda partecipare direttamente ai bombardamenti inviando velivoli da combattimento quali i Tornado e gli AMX che nel 2011 parteciparono ai raid sulla Libia.
Più probabile invece che vengano messi a disposizione della Coalizione 2 droni Reaper da basare probabilmente in Giordania o a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, dal quale operano già da tempo i droni statunitensi. Anche in questo caso si tratterebbe di un contributo limitato alle operazioni di sorveglianza e intelligence, dal momento che Washington non ha mai fornito all'Italia i più volte richiesti kit che consentono ai droni di imbarcare missili Hellfire e bombe a guida Gps JDAM. In valutazione sarebbe anche l'ipotesi di fornire maggiori aiuti militari ai curdi. Innanzitutto con l'invio di altre armi e munizioni di tipo ex sovietico prelevate dagli stock conservati nell'isola sarda di Santo Stefano e sequestrati nel 1994 a bordo della nave Jadran Express che cercava di violare l'embargo consegnando un ingente carico di armi in Croazia. In questo arsenale erano presenti anche 50 lanciatori e 400 missili anticarro AT-4 Spigot utili contro i mezzi corazzati e le postazioni fortificate. Una parte vennero consegnati nel 2011 ai ribelli libici, ma quelli rimasti sarebbero di grande utilità ai curdi, a corto di armi anticarro. A Erbil, dove sono già attivi i consiglieri militari statunitensi, francesi, tedeschi e britannici, Roma potrebbe inviare anche un team di istruttori per addestrare le milizie curde. Proposta che potrebbe coinvolgere la Spagna, interessata a costituire un reparto d'istruzione misto con i militari italiani. Al summit di Washington il capo di stato maggiore della Difesa, l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, dovrebbe quindi indicare le disponibilità italiane a raccogliere le richieste degli alleati. Una decisione circa l'impegno bellico nazionale contro il Califfato dovrebbe essere annunciata entro giovedì, giorno in cui, su richiesta del ministro Roberta Pinotti, sono state convocate le Commissioni Difesa di Camera e Senato.

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