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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2014 alle ore 07:42.

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Il Paese più estroso al mondo, l'Italia, è riuscito (finalmente) a darsi un metodo nella gestione dei rapporti economici con la Cina, uno dei Paesi più ostici al mondo nel campo degli affari. Non è stato un gioco da ragazzi, ma il frutto di un processo maturato nel corso dell'ultimo anno. L'instabilità politica, in genere, non aiuta a intavolare negoziati solidi con i cinesi i quali, allergici come sono ai cambi al vertice seriali, amano avere interlocutori ben definiti. Tanto per ricordare, il ticket Xi Jinping e Li Keqiang ha una scadenza decennale.

Questo metodo italiano, fatto di incontri, scambi di visite, negoziati, di un utilizzo mirato del Comitato strategico intergovernativo Italia-Cina, spiega il raddoppio registrato in pochi mesi degli investimenti cinesi in Italia e, soprattutto, il cambio di passo imminente legato all'arrivo del premier Li Keqiang e degli accordi da lui firmati. Accordi basati su comuni e condivise esigenze, su piani di sviluppo, specie prodotti caratterizzati proprio dall'innovazione e dall'estro italiani. La Cina è in cerca di affari e sonda i Paesi europei per intercettarne di buoni, specie quelli in grado di garantire trasferimento di tecnologie o buoni spunti negli investimenti azionari.

È un Paese molto liquido che vuole diversificare gli investimenti e smarcarsi dal dollaro, così spinge le sue aziende medio-piccole ad aderire al Go Global, tagliando sempre di più i vincoli e le autorizzazioni burocratiche. L'Italia ha dovuto prendere atto di questi cambiamenti e far sì che la Cina diventasse un'opportunità e non più un rischio per un Paese messo alle corde dalla crisi. Non è tempo di arricciare il naso, ma lo squilibrio di forze in campo è talmente alto con l'interlocutore cinese che un metodo ci vuole. Tentare a casaccio investimenti improduttivi o dannosi per l'Italia e per la Cina, inutile aprire le porte dell'Italia a chiunque, svendendo asset importanti.

Inoltre, ben venga lo scambio di competenze, ma perché non provare a sviluppare insieme progetti e tecnologie? L'Italia ha dovuto convincere in questi mesi la Cina di essere un buon partner e l'ha fatto intanto imponendo strumenti di negoziato, siglando memorandum d'intesa, cercando di mettere nero su bianco le regole del gioco in un Paese allergico ai contratti scritti. Se proprio vogliamo dirla tutta, l'Italia ha imparato dai tedeschi, che tanto hanno corteggiato Xi Jinping e Li Keqiang. Come? Mettendo in atto strategie mirate e creando ben tre missioni in pochi mesi, alla ricerca di percorsi condivisi. E poi gli incontri con il Governatore, quello con i vertici di China investment corporation, delle principali banche cinesi. Com'è noto, l'Italia ha bisogno di investitori. Con la Cina la carta della complementarietà, alla fine, si è rivelata vincente.

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