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Questo articolo è stato pubblicato il 15 ottobre 2014 alle ore 16:55.
L'ultima modifica è del 15 ottobre 2014 alle ore 20:41.

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La centrale nucleare Vattenfall di Boehlen-Lippendorf (Reuters)La centrale nucleare Vattenfall di Boehlen-Lippendorf (Reuters)

Le imprese del nucleare cominciano a presentare i conti a Berlino per l’abbandono del nucleare deciso nel 2011 da Angela Merkel dopo la tragedia giapponese di Fukushima. Il gigante svedese dell’energia Vattenfall, che gestisce due centrali nel nord della Germania, ha chiesto al governo tedesco 4,7 miliardi di euro a titolo di risarcimento.

La notizia è trapelata da fonti parlamentari: sarebbe stato Sigmar Gabriel, vicecancelliere con delega all’energia, a parlarne davanti alla commissione Economia del Bundestag facendo riferimento all’entità del risarcimento richiesto. La società si era rivolta due anni fa, nel 2012, al collegio arbitrale della Banca mondiale in seguito alla chiusura, graduale, del programma nucleare tedesco.

Una decisione che ha spinto il governo ad accelerare la transizione alle energie alternative (Energiewende) aumentando, nel programma di Grande Coalizione, gli obiettivi di solare ed eolico.

Ma il timore di iniziative come quella svedese ha un’altra ricaduta importante di portata internazionale: nei difficili negoziati per il Trattato di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, la Germania si oppone all’introduzione di arbitrati internazionali per dirimere le controversie tra multinazionali e Stati, una richiesta avanzata con forza dagli Usa. L’opposizione tedesca sta determinando uno dei tanti incagli al raggiungimento di un accordo.

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