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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2014 alle ore 19:30.
L'ultima modifica è del 17 ottobre 2014 alle ore 11:31.

Mentre le pensioni in essere non possono essere toccate - come insegnano le numerose sentenze in merito che tutelano i diritti acquisiti - su quelle future non esistono limiti di intervento. E quelli a cui stiamo assistendo negli ultimi anni sono tutti al ribasso.
L'ultimo duro colpo arriva con la legge di stabilità 2015, che non contiene – come ci si aspettava – una tassazione di vantaggio per gli enti dei previdenza di primo pilastro dei professionisti e, quindi, le rendite finanziarie sui patrimoni previdenziali saranno tassate come qualsiasi altra rendita finanziaria al 26% (fino a oggi erano rimaste al 20% in attesa di un'armonizzazione con i fondi della previdenza complementare); una decisione che comporterà una riduzione delle future pensioni dei professionisti di almeno il 10%. E non parliamo di pensioni alte, tutt'altro.

Il passaggio al sistema contributivo – che molte Casse hanno adottato con le ultime riforme – era necessario per consentire la stabilità dei sistemi nel lungo periodo ha creato un'evidente frattura tra un passato “troppo generoso” e un futuro “eccessivamente prudente”. La stabilità, con gli ultimi interventi proposti nella riforma Monti-Fornero è garantita ma a scapito soprattutto dell'equità sociale. Una massa di pensionati che non avranno di che mantenersi.

Il calcolo della pensione con il metodo contributivo prevede, infatti, che il lavoratore in pensione riceverà il capitale che ha versato nell'arco della vita lavorativa; capitale che sarà diviso per il numero di anni in cui, sulla base delle statistiche, vivrà. Insomma tanto versi, tanto ricevi.

Il sistema retributivo, invece, prevede che un lavoratore prenda come pensione circa l'80% della media degli ultimi stipendi. Un meccanismo che ha funzionato in una fase di forte espansione e crescita ma oggi non è più sostenibile. Un trattamento che ha generato situazioni in cui un soggetto nei primi otto anni di pensione recuperava quanto versato nell'intera vita lavorativa per poi essere “mantenuto” dai lavoratori attivi, che stanno diventando sempre di meno.

Le Casse vengono trattate come speculatori, quando la loro genesi è un'altra. I professionisti fino ai primi anni Novanta erano inglobati nell'Inps da cui vennero scorporati, portandosi dietro regole e debiti, nel 1994 con il Dlgs 509. In vent'anni molte Casse sono riuscite a stabilizzare i loro patrimoni, alcune come la Cassa dei dottori commercialisti, decidendo il passaggio al sistema contributivo quando ancora non se ne parlava.

Diverso il discorso per le Casse nate con il Dlgs 103/96, create direttamente con il sistema contributivo e quindi destinate fin da subito a pensioni ridotte.

Inoltre le Casse, in quanto enti privati che svolgono un'attività di interesse pubblico, sono attentamente monitorate dai ministeri e hanno una serie di vincoli di investimento all'interno dei quali devono muoversi, limite che lo speculatore privato non ha.

Una stretta inaspettata e altrettanto dolorosa tocca i fondi di previdenza integrativa: la tassazione per loro passa dall'attuale 11,5%, deciso a suo tempo per incentivare il ricorso a questi fondi e integrare le magre pensioni future, al 20%. Una mossa che dà un duro colpo a un sistema che in Italia già stentava a decollare quando c'erano gli incentivi fiscali.

Nel resto d'Europa la strada percorsa è opposta; le rendite previdenziali sono tassate poco o sono completamente esenti proprio perché questi rendimenti vanno ad alimentare le pensioni. L'Italia invece segue un percorso opposto, e nella previdenza ha figli e figliastri.

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