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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2014 alle ore 06:37.

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PARIGI. Dal nostro corrispondente
«Mi sembra difficile individuare una specificità francese nella caduta dei mercati, ma certo c'è sul tavolo una questione francese che contribuisce ad alimentare un clima di tensione». Bruno Cavalier, capo economista di Oddo&Cie, commenta così la ventata di panico che ha improvvisamente scosso le Borse.
Con una fluttuazione di 200 punti (tra un minimo di 3.789 e un massimo di 3.990) e scambi per 7,8 miliardi (i volumi più importanti dal settembre 2011), Parigi ha vissuto ieri una delle sedute più incredibili. Chiudendo poi in flessione dello 0,5% a 3.918 punti ha certo limitato i danni, ma ha comunque consolidato lo sfondamento della soglia emblematica dei 4mila punti (registrato mercoledì, con un calo del 3,63% a 3.940 punti) ed è tornata sui livelli di fine luglio dell'anno scorso. Il ribasso è dell'8,8% dall'inizio dell'anno e dell'11,5% nell'ultimo mese.
La situazione generale ha anche pesato sui tassi: sul mercato secondario quelli delle Oat a 10 anni sono saliti di 13 punti (all'1,26% rispetto all'1,13% di mercoledì), con uno spread sui Bund tedeschi di 44 punti. Livelli lievemente superiori a quelli registrati in occasione dell'ultima emissione dello scorso 2 ottobre (3,6 miliardi assegnati all'1,23 per cento, la prossima è fissata per il 3 novembre). Anche se proprio ieri France Trésor ha realizzato un'emissione di titoli a 5 anni (per poco meno di 3 miliardi) allo 0,34% rispetto allo 0,39% del 18 settembre.
«Mi sembra - spiega ancora Cavalier - che siamo in presenza della classica goccia che fa traboccare il vaso dei timori sulla crescita europea, a partire da Italia e Francia ma che si estendono alla Germania, e delle preoccupazioni per il contesto internazionale, Ebola in testa. La goccia è fatta di Grecia, dei dati americani e cinesi, e della presentazione, appunto mercoledì, dei budget europei».
Ed è questo il fronte in cui si caratterizza una forte specificità della Francia. L'unico Paese dell'eurozona che si allontana fortemente dall'obiettivo di deficit al 3% (l'anno prossimo sarà del 4,3%) e l'unico che non rispetterà questo target prima del 2017.
Le discussioni con Bruxelles (e prima ancora con Berlino) sono appena iniziate. E se sembra difficile immaginare che si possa arrivare alle sanzioni, è invece alquanto probabile che il bilancio francese 2015 venga respinto al mittente, con la richiesta di qualche correzione. Decisione senza conseguenze sul piano "giuridico", ma rilevantissima su quello politico.
Nel mirino della Commissione (e della cancelliera tedesca) c'è in particolare l'annosa questione della spesa pubblica. Nonostante gli annunciati «tagli» per 21 miliardi, continuerà infatti a crescere l'anno prossimo dell'1,1% in valore (cioè di 13,5 miliardi). Tendenza che viene confermata nel 2016 e 2017 (quando sarà pari a 1.285 miliardi, cento in più rispetto al 2012). Su questo spinosissimo tema non c'è nulla neppure nell'annunciata legge sulle liberalizzazioni appena presentata dal neo ministro dell'Economia Emmanuel Macron.
Mentre c'è l'intenzione di portare le cessioni di partecipazioni pubbliche da 5 a 10 miliardi. Magari con la vendita di un altro 15% di Edf. Che ieri, in caduta del 6%, ha fatto segnare il peggiore risultato del listino.
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I tassi sui decennali

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