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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2014 alle ore 19:11.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2014 alle ore 21:48.

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(Afp)(Afp)

I dilemmi e i rischi della lotta allo Stato islamico
Washington, Ankara, gli arabi e l’Occidente in generale devono decidere chi deve combattere sul terreno lo Stato Islamico perché la coalizione dei riluttanti alleati degli americani non ha nessuna voglia di farlo.
In questo Medio Oriente deflagrato ci sono diverse domande con risposte scomode. Per esempio: chi ha liberato i villaggi cristiani in Siria occupati e distrutti dai jihadisti? Gli Hezbollah filo-iraniani alleati di Assad. Ma ovviamente ricordarlo è imbarazzante. Si piagnucola sulla sorte dei cristiani orientali ma non si ascolta cosa dicono su quanto avviene dalle loro parti. «Se chiedessimo ai cristiani libanesi un giudizio sui recenti avvenimenti probabilmente tutti direbbero che se non fosse per Hezbollah il Califfato sarebbe già arrivato a Jounieh (periferia cristiana a Nord di Beirut, ndr)», ha detto il patriarca dei maroniti Bechara al-Rai.

Certo far combattere i curdi in Siria, gli Hezbollah in Libano o le milizie sciite addestrate da Teheran in Iraq comporta alti rischi politici. La Turchia non vuole che i curdi si ritaglino delle zone autononome e/o indipendenti mentre i sunniti temono la violenza delle milizie sciite e filo-iraniane quanto, se non di più, dei tagliagole del Califfato. Ed è questo sostanzialmente il motivo per cui lo Stato Islamico è assai difficile da contrastare: le tribù sunnite sono conniventi, attive o passive, dei successi dei jihadisti con la bandiera nera.

Nel caso della Turchia però la vicenda di Kobane ha avuto almeno un effetto positivo. Ha riportato alla ribalta la questione curda (il 15-20% della popolazione) alla quale Erdogan diceva di volere trovare una soluzione. In realtà l'astuto Erdogan ha corteggiato il Pkk e i partiti curdi presenti in Parlamento con l’obiettivo di ottenere i loro voti per cambiare in senso presidenziale la costituzione (serve una maggioranza di due terzi). Ha fatto qualche concessione sulla lingua curda, la stampa e le tv, ma senza prendere provvedimenti ufficiali. Quando si è accorto che i partiti curdi laici gli avrebbero comunque votato contro per la sua politica di islamizzazione non ha più trovato “interessante” arrivare a un vero accordo.

La Turchia e un’immagine appannata
L’assedio di Kobane ha anche colpito l’immagine dell’attuale governo che per un grossolano malinteso viene considerato moderato e filo-occidentale semplicemente perché la Turchia da oltre mezzo secolo è membro della Nato. In realtà Ankara ha fatto persino scavare un vallo alla frontiera per impedire l’arrivo delle auto dei profughi da Kobane. Non ha aperto nessun corridio umanitario come le era stato chiesto da americani ed europei (Hollande) e non si è neppure pronunciata con chiarezza sulla concessione delle basi ai caccia di Washington e al passaggio di truppe straniere.

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