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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2014 alle ore 06:40.

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di Stefano Carrer
TOKYO. Dal nostro corrispondente
La "Womenomics" perde colpi e intacca l'intera "Abenomics". Le dimissioni contemporanee di due ministre per scandali relativamente veniali - relativi a finanziamenti e spese elettorali irregolari - rappresenta anzitutto una battuta d'arresto per la strategia di promozione delle donne in ruoli di leadership che il premier Shinzo Abe ha perseguito finora con sorprendente determinazione, fino a pensare di semi-imporre alle aziende di far coprire al genere femminile entro pochi anni il 30% dei ruoli manageriali.
Se nell'ultimo rimpasto Abe aveva nominato cinque donne ministre (un record), ora sembra di tornare all'antico con la nomina a titolare dell'Economia, Commercio e Industria del 64enne ex burocrate Yoichi Miyazawa al posto della dimissionaria Yuko Obuchi, rampante 40enne che sembrava in corsa per diventare in futuro la prima donna-premier del Giappone. Abe aveva contato sul suo volto rassicurante di giovane e madre anche per "vendere" al pubblico recalcitrante il ritorno all'energia nucleare: ora la riattivazione delle centrali appare ancora più difficoltosa. Il fatto poi che Miyazawa sia nipote di premier al pari di Abe - come Obuchi è figlia di premier - evidenza la persistente manomorta sulla politica delle grandi dinastie familiari. Al posto dell'altra dimissionaria, Midori Matsushima - inciampata sulla distribuzione gratuita di ventagli di carta promozionali, in violazione di una legge elettorale severissima nel proibire ogni donazione -, sale al vertice del Ministero della Giustizia l'incolore Yoko Kamikawa, già alle pari opportunità. Anche le altre tre donne-ministre sono sotto il tiro dell'opposizione a vario titolo, così come il ministro della Difesa Eto (altra new entry dell'improvvido rimpasto di settembre): eventuali altre dimissioni potrebbero minare la posizione di un premier che in teoria può godere di ampia maggioranza parlamentare fino alle elezioni del 2016.
I sondaggi effettuati nel weekend vedono il gradimento per Abe sceso sotto il 50%, proprio a poche settimane dalla più difficile decisione di politica economica: dare o meno il via libera definitivo al previsto aumento dell'Iva al 10% (dopo quello dal 5 all'8% scattato in aprile). In molti cominciano a pensare che, nonostante il pressing del ministero delle Finanze per il rispetto della tabella di marcia verso il riequilibrio delle finanze pubbliche, un Abe indebolito non possa permettersi di prendere una misura impopolarissima, tanto più in presenza di una economia infiacchita più del previsto dall'ancora fresco rialzo dell'imposta sui consumi e di una congiuntura internazionale poco favorevole. Nessun premier ha mai alzato l'Iva due volte e quelli che l'hanno alzata una volta sola sono stati mandati a casa dagli elettori appena possibile. Appare anche più difficile il passaggio di leggi controverse, come quella che dovrebbe legalizzare i casinò per attirare ricchi turisti asiatici, mentre un esecutivo snervato appare ancora meno in grado di fare le concessioni sulla politica agricola che farebbero fare progressi ai negoziati di libero scambio della Trans-Pacific Partnership (e anche quelli con la Ue). La cosiddetta "terza freccia" dell'Abenomics (le riforme di sistema) pare destinata più di prima a non poter essere molto incisiva. Il governatore della banca centrale Haruhiko Kuroda, intanto, continua a mostrarsi come il più ottimista di tutti sull'andamento dell'economia, anche se precisa di esser pronto a nuove misure (di allentamento monetario) se il trend dell'inflazione dovesse confermarsi in frenata. Ieri la Borsa, dopo il cedimento del 5% di settimana scorsa, ha ignorato le turbolenze politiche recuperando il 4%, più che altro grazie alle attese di una droga governativa al mercato, attraverso una maggiore allocazione delle risorse del Fondo pensioni pubblico verso i titoli azionari.
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