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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2014 alle ore 13:34.

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Oscar Pistorius (Ap)Oscar Pistorius (Ap)

Capace di trasformare un handicap in un vantaggio, considerato un eroe nazionale e un'icona per tutti quelli convinti che si può varcare il muro della disabilità, Oscar Pistorius è stato condannato oggi a cinque anni di prigione per aver ucciso la fidanzata Reeva; e, comunque vada con gli eventuali ricorsi, qualche mese di carcere se lo farà.

Nessuno lo avrebbe potuto prevedere quando, a Londra, nel 2012 centrò la sua idea folle: diventare il primo biamputato a gareggiare con i normodotati in un'Olimpiade. Il mondo si inchinò al coraggio di un essere umano che, nonostante la nascita senza le tibie e l'amputazione ad appena 11 mesi di entrambe le estremità sotto le ginocchia, fosse riuscito a competere alla Olimpiadi con le sue avveniristiche protesi. «Blade runner» si classificò per le semifinali dei 400 metri e tagliò il traguardo in 45,44 secondi, il suo quarto tempo più veloce su quella distanza. E solo i maligni dissero che quelle protesi -le “lame”, coltelli ricurvi che pesano il 20% in meno di una gamba in carne e ossa - gli davano un vantaggio sleale sugli avversari.

Pistorius, nato a Johannesburg nel 1986, ha avuto un'infanzia e un'adolescenza traumatiche, segnate dalla sua vulnerabilità, dalla separazione dei suoi genitori e dall'iper-protezione di una madre ossessionata dalla delinquenza. La donna, a cui il ragazzo era legatissimo, morì quando lui era adolescente. Tutte esperienze che devono averlo marcato a fuoco.

E così nei mesi successivi all'omicidio, sotto i riflettori di una stampa mondiale interessata in maniera ossessiva al caso (le fasi salienti del processo sono state seguite in diretta dai grandi network internazionali), è emersa un'altra immagine di Pistorius: un giovane dai comportamenti a tratti violenti e collerici, facile protagonista di scontri verbali e a volte anche fisici, con una passione sfrenata per le auto veloci e le armi. Da allora la sua carriera e anche la sua fama si sono frantumati, con la stessa celerità con cui sono spariti, l'uno dopo l'altro, all'indomani della tragica notte di San Valentino,tutti i lucrosi contratti con i marchi sportivi che lo sponsorizzavano.

Da quando, il 22 febbraio, è in libertà su cauzione, Pistorius è stato ritratto pochissimo in giro (una volta mentre faceva sport, un'altra a pranzo con i suoi avvocati). La stampa locale ha parlato anche di una sua vacanza in Mozambico, dove avrebbe avuto una storia con una studentessa sudafricana, e di una lite con un altro cliente in un bar alla moda di Johannesburg, dove era andato con i cugini.

Lo zio Arnold Pistorius, uomo d'affari facoltoso e di successo, padre adottivo di Pistorius e capo di questo clan di afrikaner con forti convinzioni calviniste, ha raccontato che il nipote trascorre il tempo leggendo la Bibbia nella sua casa di Pretoria, dove vive da quando è in libertà condizionale. Di certo il Pistorius che andrà in carcere sarà molto più povero di quello che correva sulle piste, visto che è stato costretto a vendere anche la sua proprietà più importante, la casa dove viveva quando uccise Reeva, per poter sostenere i costi esorbitanti della difesa.

La conclusione del processo dà alla famiglia una tregua economica e soprattutto la libera dalla gogna mediatica: essere sotto i riflettori per 18 mesi e soprattutto nei 47 giorni di udienze. Nelle udienze si è visto di tutto: spettacolo, dramma, sangue. Pistorius ha pianto, singhiozzato, vomitato e ha dovuto mostrare, senza alcun pudore, anche i lati più intimi di sè: ha persino camminato sui monconi, senza protesi, per mostrare la sua altezza reale e la sua vulnerabilità. Ora tutto questo almeno è finito.

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