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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2014 alle ore 12:45.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2014 alle ore 17:00.

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Prima o poi qualcuno tornerà a parlare di guerra delle valute. Come fece, sbagliando, il ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantega nel 2010, quando le politiche ultraespansive delle banche centrali fecero sentire i loro effetti anche sul mercato valutario, mettendo in difficoltà i Paesi economicamente e politicamente più deboli. Oggi la storia si ripete, e non potrebbe essere altrimenti: la politica monetaria lotta contro il rischio di deflazione, le valute registrano i nuovi stimoli e gli effetti superano i confini delle singole economie o aree valutarie.

Tutto comincia in Giappone
Tutto è cominciato in Giappone, con la Abenomics che ha trovato un forte sostegno nella politica monetaria. L'impegno della Nippon Ginko, la banca centrale, a combattere la deflazione del Paese ha coinvolto anche lo yen, da sempre usato da Tokyo come arma per rendere più competitive le proprie esportazioni. Il gioco, questa volta, non ha funzionato molto e per qualche tempo la banca centrale è sembrata un po' a disagio con lo yen così basso. Il mese scorso, però, il governatore Haruhiko Kuroda ha ripetuto che uno yen più debole sarebbe desiderabile.

La Bce e l’euro
Solo in un secondo momento, e indipendentemente dal Giappone, è entrata in gioco Eurolandia. A giugno 2014 la Bce ha finalmente varato una serie di misure con l'obiettivo di combattere l'inflazione bassa anche attraverso la leva del cambio. Una parte della disinflazione dell'Unione è infatti legata alla forza dell'euro, rimasto su livelli elevati malgrado una politica monetaria che voleva essere espansiva ma che non ha mantenuto tutte le sue promesse. Da allora l'euro ha iniziato a perdere terreno.

Il ruolo del dollaro
La valuta comune non avrebbe mai potuto perdere tanto terreno se, contemporaneamente, la politica monetaria della Federal reserve non avesse iniziato a preparare la futura stretta. L'orientamento divergente delle due aree valutarie – Eurolandia e l'informale dollarolandia – è stata percepita con qualche ritardo dai mercati ma poi ha potuto esplicare tutti i suoi effetti. Fino al 30 settembre, però: da allora anche qualche falco, tra i banchieri centrali della Fed, ha suggerito la possibilità che il rialzo possa essere rinviato. Una risposta al dollaro alto? No, più probabilmente una reazione agli effetti della conferenza stampa di ottobre del presidente della Bce Mario Draghi, il quale non ha voluto specificare l'ammontare di titoli che la Bce avrebbe acquistato: il conseguente lungo calo delle Borse mondiali, secondo alcuni calcoli, avrebbe fatto perdere fino a 5.500 miliardi di capitalizzazione.

Dalla Svezia a Israele
La politica della Bce ha creato problemi ai partner europei di Eurolandia. Il vice governatore della Riksbank svedese Per Jansson è stato molto chiaro: se i prezzi calano in Svezia è per i tagli dei tassi decisi negli ultimi mesi dalla Bce. Una risposta della politica monetaria di Stoccolma è ormai scontata e non potrà non riflettersi sulla corona. Non diversa è la situazione in Svizzera e in Ungheria, già praticamente in deflazione, e in Danimarca. A questi si potrebbe presto aggiungere Israele. Non mancano però paesi, come l’Argentina, costretti a svalutare per questioni tutte interne, non legate al grande gioco della politica monetaria.

L’appello dell’India
Sembra davvero una guerra, un gioco a danneggiare il proprio vicino, “beggar-thy-neighbour”, come ha detto David Bloom di Hsbc in un'intervista alla Bloomberg. È come se i singoli Paesi, lasciando deprezzare la propria valuta, tentassero di esportare il rischio di deflazione. In realtà si tratta solo dell'effetto di una naturale miopia dei banchieri centrali, spinti dal loro mandato e da qualche pigrizia culturale, a non considerare gli effetti internazionali delle proprie decisioni e le loro possibili ricadute. Anche per questo motivo il governatore indiano Raghuram Rajan, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, ha chiesto ad aprile un maggior coordinamento tra le politiche monetarie

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