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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2014 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2014 alle ore 08:37.

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Finora non è dato sapere se si sia trattato di un attentato terroristico di matrice islamica oppure no. Ma comunque siano andate le cose, le gravissime sparatorie che ieri hanno colpito il cuore delle istituzioni canadesi, e altri luoghi dall'alto valore simbolico, mettono a nudo - in modo brutale - la vulnerabilità dei Paesi occidentali dinnanzi a una minaccia tanto subdola, perché difficile da sventare, quanto potenzialmente disastrosa.

Chi propende per la pista islamista ha dalla sua alcuni precedenti. In Europa, ma anche in Canada. Il cui Governo, all'inizio di ottobre si era unito alla coalizione internazionale contro l'Isis. Ed ecco che tre giorni fa, nella località di Saint-Jean-sur-Richelieu, un sobborgo di Montreal, Martin Rouleau, un canadese convertito all'Islam col nome di Ahmad, è saltato sulla sua auto investendo due soldati, e uccidendone uno. Quasi che avesse preso alla lettera l'invito rivolto ai musulmani un mese fa dal portavoce dell'Isis Abu Muhammad al-Adnani, nel suo messaggio su come diffondere la jihad nel cuore dei nemici dello Stato islamico «Se non riuscite a trovare una bomba o un proiettile... usate la vostra auto e investiteli».

Ma quanti Ahmad esistono? I Paesi occidentali possono adottare restrittive leggi d'emergenza, rafforzare i controlli. Ma qualunque misura si rivelerà non del tutto sufficiente per debellare un virus che è cresciuto nel giardino di casa. Quello del jihadismo fai da te. L'esercito di 3mila cittadini europei andati in Siria per unirsi nelle file dell'Isis fa paura. Perché molti di loro potrebbero tornare impregnati di un'assurda propaganda che incita all'assassinio. Il caso di Mehdi Nemmouche è fresco. Dopo aver trascorso un anno nelle file dell'Isis, Nemmouche torna in Francia per poi partire in maggio alla volta di Bruxelles dove uccide 4 persone dentro al museo ebraico.

Ma la minaccia più imprevedibile è quella dei "terroristi fai da te". Giovani indottrinati dalla jihad mediatica e pronti ad atti di emulazione. Come il complotto ordito da una cellula australiana di origine afghana, arrestata prima che portasse a termine il suo folle proposito: decapitare alcuni cittadini, filmare e poi diffondere su Internet le immagini. O la vicenda, ancora controversa, di un un gruppo di danesi arrestati in settembre e che intendeva uccidere, decapitandola, un'intera famiglia norvegese, per poi diffondere le immagini sul web. L'dentikit degli aspiranti jihadisti è difficile da ricostruire. Sono integrati, usano bene i social media e spesso non frequentano le moschee. Le nostre speranze riposano anche nei musulmani moderati. Sono loro, che ripudiano i mezzi e l'ideologia dell'Isis, la grande maggioranza. Loro, più preparati di noi a isolare il fanatismo islamico.

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