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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2014 alle ore 06:38.

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ROMA.
«Ci sono tutte le condizioni perché, una volta che dalla settimana prossima a Bruxelles saranno cambiate le poltrone, dal giorno dopo si possa cambiare anche le politiche, cercando di costruire sempre più un'Europa dei popoli e non un'Europa della tecnocrazia». Matteo Renzi si presenta davanti alle Camere per per le comunicazioni in vista del Consiglio Ue di oggi e domani con la consapevolezza, o la speranza, che l'epoca dei falchi a Bruxelles stia finalmente per tramontare. «Domani si terrà l'ultimo Consiglio Ue guidato da Hermann Van Rompuy a cui parteciperà, come presidente della Commissione, José Manuel Barroso: è l'ultimo di una lunga stagione, credo che si tratti di un passaggio davvero rilevante».
Il vertice ha all'ordine del giorno il tema del clima e degli investimenti, ma è chiaro che le leggi di stabilità – soprattutto quella italiana e quella francese – saranno quantomeno il convitato di pietra tra i leader europei riuniti a Bruxelles. E Renzi punta tutto sul nuovo presidente Jean Claude Juncker, che proprio ieri ha inaugurato il suo mandando rilanciando sul piano di investimenti di 300 miliardi da far partire entro l'anno, per la partita che l'Italia si appresta a giocare sulla Legge di stabilità. Con Barroso, spiegano fonti parlamentari, i rapporti sarebbero ai minimi termini tanto che sarebbe stato il capo dello Stato Giorgio Napolitano a tenere negli ultimi giorni un canale di dialogo con il presidente uscente della Ue. Un piano di investimenti, quello di 300 miliardi rilanciato da Juncker, che inverte la tendenza del rigore e che Renzi rivendica come «grande vittoria di questi mesi» dell'Italia e dei socialisti europei: «È il primo segno di attenzione della realtà istituzionale alla crescita e non solo all'austerità». Una «scommessa» – avverte – di cui «saremo gelosi custodi» ma anche «giudici inflessibili» con i voti nell'Europarlamento.
Il nodo da sciogliere con Bruxelles riguarda quei 3,4 miliardi che il governo ha accantonato nella Legge di stabilità come "clausola di salvaguardia" e che Renzi è ben intenzionato a non spendere: il bilancio previsionale italiano prevede come noto un aggiustamento strutturale del disavanzo dello 0,1% nel 2015, mentre le regole europee richiedono invece una riduzione di almeno lo 0,5%. Due le attenuanti invocate a suo favore dal governo italiano: il peggioramento del quadro economico da una parte e le riforme strutturali messe in campo dall'altra. «Le riforme che stiamo facendo possono piacere o no ma rappresentano uno straordinario processo di riforme strutturali. L'Italia si presenta al vertice avendo mantenuto l'impegno ad aprire cantieri di riforma credibili», è l'avvertimento di Renzi. Che alla fine potrebbe accontentarsi di una mezza vittoria: 0,2% o poco più.
Una giornata giocata come spesso gli accade su più fronti, quella del premier, e in bilico su più fronti. Alle 9.30 le comunicazioni sul Consiglio Ue di oggi e domani in Senato, alle 16.00 alla Camera. Ma di mattina presto Renzi aveva già riunito i vertici del Pd in Parlamento per discutere di Italicum (si veda l'articolo a pagina 11), e nel mezzo c'è stato il pranzo al Quirinale di Napolitano con Renzi e i suoi ministri com'è tradizione alla vigilia dei vertici europei. Pranzo in parte dedicato alle riflessioni sulla Legge di stabilità che, in serata, è infine arrivata al Colle con l'attesa "bollinatura" da parte della Ragioneria dello Stato. Sembrava in forse poi l'incontro di stamattina con le Regioni a Palazzo Chigi (poi confermato) e si è fatta attendere per tutto il giorno la lettera con le richieste di chiarimento dell'Europa sulle coperture della manovra, contenuti delle riforme e misura della correzione sul deficit strutturale. Ma è lo stesso Renzi, parlando al Senato, a depotenziare l'attesa: «È emblematico il genere letterario della "lettera" che sta suscitando l'entusiasmo di una parte di noi e dei media: è normale che quando mandi la legge di stabilità l'Europa intesa come commissione verifichi i punti sui quali ritiene di dover individuare eventuali scostamenti. Si tratta di un percorso naturale previsto dalle nuove regole europee. Eppure basta che si evochi questo per dire che la Ue boccia la manovra». E ancora: «Basta che un vice addetto stampa a Bruxelles rilasci una dichiarazione dicendo che qualcosa va fatto meglio e il giorno dopo i titoli sui giornali ma anche le dichiarazioni di noi addetti alla politica gridino allo scandalo con "l'Europa ci chiede", "l'Europa ci impone". L'Europa ha bisogno di un'Italia che aiuti la discussione sui contenuti e faccia sentire con forza, coraggio, dignità che sta compiendo riforme più di chiunque altro».
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