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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2014 alle ore 06:39.

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ROMA
Beppe Grillo dà già Luciano Violante «fuori dai giochi» per la Corte costituzionale e canta vittoria perché «la maggioranza ha ammesso ciò che il M5S ha sostenuto fin dall'inizio» cioè che i nomi finora proposti dalla maggioranza per la Corte erano «improponibili». Ma il patto del Nazareno non sembra affatto scalfito, anzi: i leader di Pd e Fi, Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, sembrano comunque intenzionati ad andare avanti insieme, sia pure su nomi diversi (se necessario), magari di «due signore». Il che farebbe pensare al ritiro della candidatura dell'ex presidente della Camera anche se nessuna decisione finora è stata presa sul punto né, tanto meno, sulle «due signore». Circolano nomi a go-go - da Paola Severino a Grazia Volo - ma a una settimana dalla (probabile) prossima seduta comune delle Camere, nessuno è disposto a scommettere su cambi di cavallo o addirittura su nuovi nomi e qualcuno, addirittura, azzarda un pronostico: il nodo non si scioglierà prima dei "morti", cioè prima di novembre. Insomma, al di là di annunci e propositi, non tira aria di uno scatto di reni, tant'è che il Presidente della Repubblica ieri è tornato sull'argomento con parole amare, dicendo che lo stallo del Parlamento è tra le «negatività ancora diffuse nei comportamenti politici, sociali e istituzionali».
«Ci è toccato vivere con pena» questa situazione, ha detto Giorgio Napolitano parlando ai Cavalieri del lavoro al Quirinale. Una situazione negativa che va «a danno delle stesse prerogative costituzionali» del Parlamento, tanto più a fronte della prova data dal Colle, che ha nominato Daria De Petris e Nicolò Zanon (in sostituzione di Sabino Cassese e Giuseppe Tesauro) addirittura con due settimane di anticipo rispetto alla scandenza, per dare «un esempio dovuto e severo, con scelte imparziali, anche a un minimo di riequilibrio di genere». Con la De Petris, infatti, per la prima volta nella storia della Consulta salgono a due le presenze femminili nel plenum della Corte costituzionale. E se il Parlamento dovesse davvero eleggere altre due donne, quella presenza si raddoppierebbe.
Certo è che ieri anche Silvio Berlusconi ha annunciato che Forza Italia intende proporre la candidatura di «una signora», scelta in una rosa di tre che avrebbe consegnato ieri sera ai capigruppo. «Ho messo al lavoro i presidenti di tutti i comitati regionali - ha detto l'ex premier - e li ho invitati a raccogliere i dati di persone di genere femminile: ci sono arrivati 12 curricula molto, molto interessanti e tra questi ne abbiamo scelti tre». Peraltro, Berlusconi - dopo aver ribadito che la Corte «da tempo non è più un'istituzione di garanzia ma un organismo politico di sinistra» - ha escluso di poter avere contatti, «nemmeno alla lontana», con i pentastellati per le candidature, laddove il Pd non sembra escludere questa strada, facendo rientrare nell'accordo, eventualmente, anche la nomina del componente del Csm (al posto di Teresa Bene dichiarata «ineleggibile»). Ieri Ivan Scalfarotto, sottosegretario alle riforme e ai rapporti con il Parlamento, è tornato a sollecitare i 5 Stelle a trattare con il Pd (smettendola di dire che non vogliono «sporcarsi le mani») per raggiungere la maggioranza amplissima richiesta per l'elezione dei giudici costituzionali (i 3/5 dei componenti del Parlamento). Per il Pd, tuttavia, non sarà facile individuare una candidatura che metta d'accordo le due opposizioni di Fi e 5 Stelle e che, quindi, raccolga un numero di consensi superiore a quello registrato da Violante (sempre sopra i 500 voti). Di qui l'estrema prudenza che fino a ieri - nonostante annunci e voci - si respirava in casa Dem.
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