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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2014 alle ore 08:15.

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SAN PAOLO. Dal nostro inviato
Pare se lo giochino ai dadi il destino del Paese. Non solo loro, i due candidati Dilma Rousseff e Aecio Neves, appaiati nei sondaggi, ma gli stessi brasiliani che in una traversa dell'infernale Avenida Paulista, lanciano e rilanciano i dadi. La regola del gioco della decina di simpatici giocatori è questa: chi vince la maggior parte delle manche in un tempo prestabilito, "spara" il nome del candidato preferito.
Se domenica sera il suo pronostico verrà confermato dai risultati elettorali, incasserà 10 reais dagli altri 10 giocatori. Un bottino di 100 reais, poco più di 30 euro, che però, nella psicomagia brasiliana vale molto di più, il prestigio di aver saputo prevedere il nome del nuovo presidente. Una scommessa che in effetti i più autorevoli sondaggisti, già nelle settimane antecedenti il primo turno del 5 ottobre, hanno continuato a perdere: negli ultimi tre mesi hanno scompaginato le loro carte tante volte e sbagliato sempre.
Ieri sera, gli ultimi dati erano erano questi: 53% per Rousseff, 47% per Neves. Un dato che, depurato dal 2-3% di errore tecnico, rivela grande incertezza.
Il modello economico. Non si parla d'altro nei talk show televisivi brasiliani e negli editoriali della Folha e di Valor economico, i due più autorevoli giornali del Paese. Consumi e investimenti, in questo gigante di 200 milioni di abitanti, sono cresciuti a ritmi molto sostenuti nei due mandati della presidenza Lula, dal 2003 al 2011. Poi l'inesorabile rallentamento, con Rousseff che però ha continuato a concedere sussidi e crediti al consumo alla popolazione oltre che incentivi all'industria. Quasi sempre con tassi di interesse artificiosamente bassi: ma… il cavallo non ha più bevuto, dicono gli economisti.
La lunga galoppata del Brasile, durata anni, si è trasformata in un piccolo trotto e poi in una frenata. Ora il Paese è caduto in recessione, dopo due trimestri negativi di crescita del Pil. Sia chiaro, è ormai la sesta potenza mondiale, davanti all'Italia e alla Francia; esiste una classe media di enormi proporzioni e il mercato automobilistico è il quarto più importante del mondo. Grandi infrastrutture ancora da costruire e città da ammodernare rappresentano un'opportunità strepitosa. Basti pensare che negli ultimi tempi sono sbarcati in Brasile più di 50mila manager europei e americani.
Tuttavia gli imprenditori vendono nero, la gente ha paura, consuma meno e l'inflazione al 6,5% all'anno non aiuta a rasserenare gli animi. Nelle casse dello Stato entrano sempre meno risorse. Proprio ora che i brasiliani chiedono più welfare. Pensioni, scuola e sanità migliori.
«Non vogliamo essere solo consumatori, vogliamo diritti di cittadinanza». Era questo lo slogan che milioni di brasiliani ripetevano, nelle oceaniche manifestazioni di maggio e giugno, alla vigilia dei Campionati del mondo di calcio. Non saranno facili da ottenere, l'1-7 contro la Germania è un cattivo presagio, secondo gli indovini brasiliani. Questa è (anche) terra di magia.
Riforme strutturali, quindi. Per tornare al linguaggio e ai temi cari all'Occidente, cui il Brasile comunque appartiene. Entrambi i candidati hanno già annunciato cambiamenti, che però restano avvolti in una nebulosa. Rousseff parla di «preservare i posti di lavoro», strizzando l'occhio ai 30 milioni di brasiliani che hanno ricevuto sussidi negli ultimi 11 anni. Neves ribatte con una formula che piace ai mercati e al Fondo monetario internazionale: «Generare nuovi posti di lavoro».
Non a caso Nomura Securities sostiene lo schema liberista, e appoggia Neves: il rilancio non può eludere un aumento delle tasse e della disoccupazione. Sull'altra sponda Luiz Gonzaga Belluzo, economista di fiducia di Lula, boccia «la strada ortodossa che già in Europa ha prodotto una crisi senza fine. Gli incentivi all'investimento sono l'unica strada percorribile».
L'unico punto condiviso è la fine del ciclo positivo; per il Brasile si apre una stagione difficile. Del resto Tom Jobim lo ha sempre ripetuto: il Brasile non è un Paese per principianti. I politici si affidano agli economisti amici, gli imprenditori cercano sponde alla Banca Centrale, e la gente da Porto Alegre a Fortaleza, in un territorio grande 28 volte l'Italia, più semplicemente si affida a Yemanja, la Regina del mare. Anche stavolta, si accettano scommesse. Avanti con i dadi.
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