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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 11:49.
L'ultima modifica è del 26 ottobre 2014 alle ore 12:26.

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Sconsolato, seduto al tavolino di un bar, Salif Matlouti, 30 anni, osserva in silenzio con i suoi colleghi il fiume di persone festanti che accorre alla manifestazioni di Ennahda. Nessun altro partito in corsa è riuscito a fare venerdì sera, giorno della chiusura della campagna elettorale, quello è riuscito a fare l'imponente macchina organizzativa del movimento islamico tunisino legato ai fratelli musulmani: allestire un palco gigante nella piazza della rivoluzione, affiancargli tre grandi maxischermi, attrarre migliaia di persone, alternare musica, momenti di preghiera e invettive, fino ai fuochi artificiali. “Bisogna ammetterlo – ammette Salif, che lavora in un'azienda informatica- sono estremamente organizzati, e ben strutturati. Ma difettano delle risorse umane e delle competenze, soprattutto economiche , per affrontare la grandi sfide che deve affrontare la Tunisia”.

Oggi, per la seconda volta dalla rivoluzione, l'ex regno del dittatore Ben Ali va alle urne. Consapevole di essere il solo Paese travolto dalle primavera arabe ad aver avviato un processo di trazione democratica finora credibile. La nuova Costituzione, approvata a inizio anno, e il consolidamento del processo democratico sono guardati con speranza dai Paesi occidentali. Questa volta è l'incertezza a prevalere nelle elezioni per rinnovare il Parlamento. Fino a oggi l'opinione condivisa è che sarà un testa a testa tra i due maggiori partiti; Ennhada, , e Nida Tounis, una coalizione anti-islamista sorta dopo la primavera araba che si è formata attraverso l'aggregazione di diversi partiti riuniti dall'anziano leader Beji Caid Essebsi, 88 anni.

Entrambi sono quasi convinti che nessuno riuscirà ad ottenere la maggioranza assoluta. Sarà dunque necessario ricorrere a un governo di unità convogliando altre partiti minori. Come accadde nelle precedenti elezioni, quando Ennahda vinse con il 40% dei conensi ma decise, mostrando un insolito pragmatismo per un movimento islamico, di formare una colazione con due partiti laici, il Foro Democratico per il Lavoro e le Libertà (Ettakol) e il Congresso per la Repubblica (CPR). Ennahda aveva così tenuto fede alla dichiarata intenzione di governare e dividere il potere anche con formazioni politiche laiche. Il governo durò poco. Perché i clamorosi assassini di due noti leader politici sconvolsero la pacifica transizione tunisina. Si stava affacciando la minaccia del jihadismo. Seguirono poi sommosse e proteste. La primavera stava deragliando. Ennahda decise di partecipare all'inizio del 2013 a un governo di il transizione per traghettare il Paese al voto di oggi e alle presidenziali di novembre.

In teoria Nadaa Tounis e Ennahdad sono due anime inconciliabili della Tunisia. Ma non sono esclusi colpi di scena. Perché negli ultimi giorni della campagna i toni sembrano ammorbiditi . Rāshid al-Ghannūshī, l'esperto leader di Ennahda, non ha completamente escluso l'alleanza con il partito rivale.. Nella sede di Nidaa Tounis, anche Neji Jalloul, membro del Consiglio esecutivo del partito, mostra segni di apertura. Affabile, acuto nelle sue analisi, Jalloul sembra aver compreso che Ennhada rappresenta una parte consistente della Tunisia che sarebbe azzardato mettere in disparte. “Il nostro partito – ci racconta - è nuovo, in costruzione, sono presenti diverse correnti. Ma io ritengo che la maggior parte di noi sia favorevole ad una coalizione con Ennahda., anche se noi dovessimo arrivare per primi. Ritengo sia meglio cooptare i moderati di Ennahada, che comunque ci sono, in un Governo di unità piuttosto che lasciare i più radicali di loro all'opposizione”
Jalloul non usa parole gentili con il movimento islamico, che tuttavia sembra più accreditato dai sondaggi ad arrivare primo. “Sono come i Fratelli musulmani. La loro moderazione è solo una facciata. Ed hanno avuto una grande responsabilità nei confronti del salafismo, che si è rafforzato negli ultimi anni. Perché hanno decolpevolizzato i movimenti jihadisti”.

La minaccia jihadista ha scosso la Tunisia. La gente ha paura. Le diverse forze politiche si sono strette per affrontare un'emergenza tanto pericolosa quanto inaspettata. Lo stesso movimento tunisino di Ansar al Sharia è stato dunque messo fuori legge ed etichettato organizzazione terroristica. Ma quello che fa più paura sono i 3mila - fonti del Governo sostengono 5mila - salafiti tunisini che sono partiti in Siria per unirsi alle file dell'Isis. Qualcuno sostiene che ne siano già tornati più di 100, impregnati di un'ideologia folle che incita alla violenza. E che molti altri ne torneranno.

Al di là della sicurezza, e il cattivo andamento dell'economia a preoccupare la maggioranza dei tunisini. LE cose vanno male molto male, dopo una rivoluzione che ha sì portato a conquiste travolgenti in termini di libertà, ma una crescente disoccupazione, un vistoso calo degli investimenti e un aumento del costo della vita.
“Certo abbiamo avuto degli indubitabili vantaggi in termini di liberta, Ma dal punto divista sociale e soprattutto economico non sono per nulla soddisfatto, spiega Salif Matlouiti. “Temi importanti come la giustizia sociale, il welfare, sono passati sotto tono nella campagna elettorale. Pochissimi partiti ne hanno parlato”“ ci precisa Pietro Longo, direttore del programma Mediterraneo e Vicino Oriente dell'IsAG - Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliari

“Il risanamento dell'economia è l'argomento forte dei programmi politici dei due grandi partiti, che tuttavia sono piuttosto simili negli obiettivi. Al di là della proposta di introdurre strumenti di finanza islamica come i sukuk , né Ennahda né Nidaa Tounis hanno chiarito nei dettagli come intendono conseguire gli obiettivi”.

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