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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2014 alle ore 13:22.
L'ultima modifica è del 28 ottobre 2014 alle ore 18:31.

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Il crescente numero di donne che siede in Parlamento, la parità nella compagine di Governo e le nuove nomine ai vertici delle controllate dal ministero del Tesoro hanno migliorato la posizione dell’Italia nella classifica internazionale stilata ogni anno dal World Economic Forum. Dalla 71esima posizione risaliamo alla 69esima nel «Gender Gap Index 2014», che misura le pari opportunità di 142 paesi al mondo. Eppure continuaiamo a trovarci dietro a paesi che nell’immaginario collettivo non sembrerebbero offrire condizioni migliori alle donne come Bangladesh e Repubblica Kirghiza. Tra le nazioni industrializzate restiamo, quindi ancora all’ultimo posto.

Nei nove anni di vita dell'indice, l’Italia - segnala il rapporto dell’ente che organizza il vertice di Davos - ha comunque registrato un miglioramento della condizione femminile. Sempre tenendo ben presente che l'indice calcola il divario di genere all'interno di uno
stesso Paese e non fornisce quindi una classifica in termini assoluti, nel 2006 la Penisola era al 77esimo posto e nel 2007 addirittura all'84simo. L’anno migliore è stato il
2008, quando è arrivata al 67esimo posto, ma poi la crisi si è fatta sentire anche nel «Gender Gap». Lo dimostra soprattutto il netto peggioramento dell'indicatore sulla
Partecipazione economica e sulle Opportunità, che vede l'Italia scivolare al 114esimo posto (e ultimo in Europa) dal 97esimo del 2013 e dal già non esaltante 85esimo del 2008.
In particolare, in questo ambito, la Penisola è 129esima per l’uguaglianza salariale per il medesimo lavoro: se un uomo guadagna 40mila dollari l’anno, la donna con
le stesse mansioni ne percepisce in media meno di 23mila.

A sorpresa l'Italia - stando allo studio - negli ultimi 9 anni ha fatto passi indietro nella parità nell'istruzione: nel 2014 è solo 62esima contro il 27esimo posto del 2006 e nel
2013 era 65esima. A penalizzare il ranking è il calo nelle iscrizioni di bambine nella scuola primaria, mentre per la scuola secondaria e l'università l'Italia si conferma come
molti altri Paesi al primo posto. È migliorata, poi, la parità di genere in termini di salute e durata della vita che vede l’Italia al 70esimo posto dal 72esimo dello scorso anno e
contro l'inquietante 95esimo del 2010.

È, però, nel potere politico che l'Italia guadagna punti nelle pari opportunità. Il balzo è evidente: dal 72esimo posto del 2006, passando dall'80esimo del 2007, si arriva al 44esimo del 2013 fino al 37esimo di quest'anno. A dare la spinta è la composizione
“paritetica” del Governo Renzi, così come l’aumento delle donne elette in Parlamento nell'ultima tornata elettorale. A riequilibrare la bilancia del potere è però la casella
sugli anni in cui una donna è stata Capo dello Stato, visto che per l'Italia il punteggio resta zero.

Più in generale il rapporto quest'anno assegna la prima posizione all'Islanda, davanti a
Finlandia, Norvegia, Svezia e Danimarca, “patrie” scandinave delle pari opportunità. A sorpresa la sesta posizione va al Nicaragua, grazie al primo posto nella parità di salute e durata di vita, davanti all'ancor più sorprendente Rwanda, 25esimo per la partecipazione economica e sesto per il potere politico. Ottavo posto per l'Irlanda, seguita dalle Filippine che sono prime per pari opportunità educative e nella salute. Chiude la top ten il Belgio, che supera Svizzera e Germania. La Francia è 16esima, gli Stati Uniti 20esimi e il Regno Unito 26esimo.

Il Wef coglie, però, l’occasione per lanciare un allarme: a livello internazionale la disparità di genere delle opportunità lavorativa resta ampia, tanto che in 9 anni si è solo ridotta del 4%, passando dal 56% al 60%. Di questo passo ci vorranno 81 anni per chiudere il divario. La parità sul posto di lavoro si avrà, se va bene, nel 2095. A conti fatti non sono ancora nate le donne che la vivranno.

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