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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2014 alle ore 06:39.
SAN PAOLO. Dal nostro inviato
Per le strade si balla, il samba naturalmente, la colonna sonora delle città brasiliane. Una sola parola: Dilmais! Ancora Dilma! Crasi di Dilma e mais. Migliaia di sostenitori festeggiano, dal Sud al Nord di un Paese sconfinato, la vittoria di Rousseff che con il 51,64% dei voti porta a casa il secondo mandato. Sarà presidente del Brasile fino al 2018. Batte di poco l'antagonista Aecio Neves, fermo al 48,36%. Nel suo lungo discorso di ringraziamento, trasmesso da tutte le principali tv, ha affrontato molti temi: la riconciliazione, la rielezione, la riforma politica, la corruzione e l'economia. Il primo abbraccio è stato per Lula, l'ex presidente che nelle ultime settimane si è speso per lei.
L'economia è il punto più controverso. «It's the economy, stupid», si ripetevano gli esperti americani di marketing politico nel 1992, in vista dello scontro tra Bill Clinton e George W. Bush. E anche in Brasile, in effetti, è questo il tema che fa la differenza tra un buono e un cattivo mandato presidenziale. Per Dilma sarà un compito arduo: il rilancio di un Paese che dopo una lunga corsa non sa più crescere.
«Promuoverò azioni locali per ritornare al nostro tasso di crescita e garantire alti livelli di occupazione e salari crescenti. Daremo impulso al settore industriale e non trascurerò nessun segmento della produzione. Combatterò l'inflazione e l'evasione fiscale. Tutto ciò, stimolando il dialogo». Questa è la sintesi del suo discorso, venato di entusiasmo, ma non esplicito nella formulazione di un'agenda rigorosa. Miriam Leitao, economista ed editorialista di O Globo, lo dice chiaro: «Manca la fiducia del settore imprenditoriale, che non investe più. E il mercato finanziario è ancora più pessimista». Rafael Cortez, analista di Tendencias, è ancora più duro: «Enormi spese nei programmi sociali, un modello di credito al consumo e sussidi al settore energetico da cui non sarà facile svincolarsi. Non solo, il real è stato sopravalutato per troppo tempo e ora l'industria si è in gran parte disintegrata a causa della caduta delle esportazioni».
La presidenta ha già annunciato che cambierà la squadra di governo e che sostituirà il ministro dell´Economia Guido Mantega, sulla tolda da molti anni. Un economista competente, tra l'altro di origini italiane, che non è stato osteggiato dai mercati ma forse condizionato dalla macchina del Pt, il potente Partito dei lavoratori, cui Dilma appartiene.
La reazione dei mercati ieri non è stata positiva. La rielezione di Dilma è stata accolta male dagli investitori, che puntavano su una vittoria del socialdemocratico Neves. Il real ha perso il 4,19% nei confronti del dollaro, che ha raggiunto la quotazione di 2,56, la più alta dal 2008. All'apertura della Borsa di San Paolo, l'indice Bovespa ha registrato un calo del 6%, ma dopo un'ora la perdita è stata contenuta al 5,54%. Il calo maggiore riguarda il titolo Petrobras, il colosso petrolifero statale al centro di un'inchiesta su presunte mazzette a politici denunciata in campagna elettorale dallo sfidante di Rousseff. Il titolo ha perso il 14%.
Il petrolio avrebbe potuto esser il volano di una ripartenza e invece ha dominato gli ultimi scontri televisivi tra i due aspiranti alla presidenza: da "gran passaporto per il futuro", Petrobras si è trasformato in un'inesauribile fonte di problemi. Tangenti e prezzo del greggio in flessione. Sono questi i due nodi.
Le tangenti che sarebbero state pagate dalla compagnia petrolifera ai principali partiti politici hanno generato una vera e propria spaccatura, non solo nell'arena politica ma anche tra la gente. Gli annunci di straordinarie scoperte di greggio offshore, al largo di Santos e di Rio de Janeiro, negli ultimi anni avevano alimentato la concreta speranza che il Brasile entrasse nel novero dei grandi Paesi produttori. La caduta del prezzo del petrolio vanifica però queste strategie: Adilson de Oliveira, professore di economia all'Università di Rio de Janeiro ed esperto in questioni energetiche sostiene che Petrobras aveva effettuato previsioni di estrazione con il prezzo del petrolio a 100 dollari fino al 2017 e poi a 95 dollari tra il 2018 e il 2030. Ora che il greggio veleggia attorno agli 80 dollari gli investimenti per l'estrazione offshore dei giacimenti cosiddetti pre-sal non è più conveniente. Nella misura in cui il prezzo del crudo cala, si riduce anche il flusso di cassa di Petrobras che non può mantenere il piano di esplorazione con la velocità programmata.
Insomma per gli analisti, gli economisti e i politologi, il Paese si incammina verso una lunga fase di stagnazione. Ne sono convinti tutti gli istituti di ricerca. Che i brasiliani per la verità ascoltano poco. Per loro è ben più autorevole Yemanja, la Regina del mare.
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