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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2014 alle ore 10:44.
L'ultima modifica è del 20 dicembre 2014 alle ore 09:57.

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Lo “show” effettuato mercoledì da due dozzine di velivoli dell’aeronautica russa che sorvolando il Mare del Nord, il Mar Baltico, l’Oceano Atlantico e il Mar Nero hanno lambito i confini della Nato, rappresenta qualcosa di più di una dimostrazione muscolare e sottolinea il clima di rinnovata tensione in Europa.

Episodi del genere sono accaduti in tutte le epoche. Prima dell’avvento degli aerei erano le flotte a “mostrar bandiera” davanti a isole contese o alle coste di qualche rivale. L’era della Guerra Fredda ha visto moltiplicarsi i casi di velivoli sovietici e della Nato che mettevano alla prova le difese aeree dell’avversario anche violando gli spazi aerei nazionali. Un po’ per sfida, un po’ per mostrare le proprie capacità offensive o per testare le prestazioni di nuovi aerei, radar o apparati di guerra elettronica, propri e della controparte.

Una “battaglia” combattuta anche sopra e sotto i mari con navi spia inviate al limite delle acque territoriali dell’avversario e sottomarini che testavano la propria silenziosità spingendosi a ridosso delle coste svedesi, della Florida o della base navale di Murmansk. La tensione legata alla crisi in Ucraina ha riportato in auge le manovre militari provocatorie. Il messaggio lanciato da Mosca con i “raid” aerei di mercoledì che hanno mobilitato la difesa aerea di 8 Paesi della Nato si presta a diverse interpretazioni. Impossibile non notare che i velivoli sono decollati poche ore dopo il test di un missile balistico nucleare Bulava lanciato da un sottomarino nel Mare di Barents e a breve distanza dalla vittoria nelle elezioni ucraine del Fronte Popolare del premier Arseniy Yatsenyuk, favorevole a riconquistare i territori orientali in mano ai separatisti filorussi.

Inoltre la presenza di ben 6 diversi tipi di velivoli indica la volontà russa di mostrare che tutti i settori delle sue forze aeree sono efficienti, inclusi i reparti strategici rappresentati dai bombardieri con capacità nucleari Tu-95, dai rifornitori Il-78 e dai caccia Mig-31, concepiti per intercettare bombardieri e missili da crociera nemici. A questi velivoli, vecchi ma aggiornati, sono stati affiancati gli altrettanto datati Sukhoi 24 e i moderni Su- 27 e Su-34.

L’esibizione di forza russa ha visto i velivoli sorvolare i mari lungo tutti i confini dell’Alleanza Atlantica, dalla Norvegia alla Turchia, dalla Gran Bretagna ai Paesi Baltici. Mosca non ha gradito le esercitazioni che hanno recentemente portato in Ucraina 1.200 militari di 14 Paesi della Nato e risponde dimostrando di poter raggiungere ogni obiettivo in Occidente, inclusi gli Stati Uniti dove da tempo vengono segnalati frequenti avvicinamenti di aerei russi all’Alaska. “Punzecchiature” tese a ribadire lo status di grande potenza della Russia e che hanno costretto la Nato a quintuplicare il numero di caccia pronti a decollare su allarme rispetto all’anno scorso.

Mosca punta al rafforzamento della propria deterrenza, come dimostra il raddoppio rispetto al 2013 dei casi (un centinaio quest’anno) di velivoli russi “scortati” lontano dai confini della Nato, che non sta certo a guardare. Basti ricordare il via vai di navi da guerra e navi spia occidentali (inclusa l’taliana Elettra) nel Mar Nero fin dallo scoppio della crisi ucraina. Episodi del genere sono del resto comuni a tutte le aree di crisi. In seguito alla disputa con Pechino per il controllo delle isole Senkaku, il Giappone ha registrato il record di tentativi di intrusione nel proprio spazio aereo e marittimo da parte soprattutto di navi e aerei cinesi ma anche di bombardieri russi.

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