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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2014 alle ore 20:02.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2014 alle ore 20:21.

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(Corbis)(Corbis)

Una super amniocentesi in grado di stanare oltre 12mila mutazioni di quasi 300 geni, ovvero l’80% delle patologie che potrebbero affliggere il bambino, dalla fibrosi cistica alle talassemie, dalle displasie scheletriche a malattie neurologiche come la sindrome di Rett, fino ad alcune forme di autismo. Allargando a dismisura lo spettro di informazioni a disposizioni delle coppie in attesa di un figlio, che finora potevano conoscere in fase prenatale appena il 7% delle malattie. Si chiama Ngpd, Next Generation Prenatal Diagnosis, la nuova metodica sviluppata da un gruppo di ricercatori italiani della Sidip, l’Italian College of fetal maternal medicine, e oggi disponibile presso cinque centri a Roma, Milano, Bari, Catania e Umbertide (Perugia). Il costo è intorno ai 1.500 euro, a carico della paziente. Che in pochi giorni può ricevere la mappatura del genoma del feto, filtrata secondo criteri di targetizzazione prefissati («etici», dicono i medici coinvolti) e avere una consulenza del genetista per capire il responso e operare una scelta consapevole. Una rivoluzione nella diagnosi prenatale.

Come è nata la Ngpd
La nuova tecnica, presentata oggi a Roma e descritta sul Journal of prenatal medicine, prende le mosse dagli enormi progressi compiuti dalla genomica negli ultimi anni e applica al feto il sequenziamento rapido del Dna finora utilizzato negli adulti. Primo firmatario dell’indagine, il ginecologo Claudio Giorlandino, che parla di «scoperta rivoluzionaria» e la spiega così: «Usando una metafora, è come se finora fosse possibile studiare un grattacielo soltanto contando il numero dei piani, laddove i piani sono i cromosomi, mentre ora possiamo controllarne ogni singolo mattone». Il risultato è che con l’amniocentesi o la villocentesi tradizionale è possibile escludere con certezza soltanto le anomalie cromosomiche come la sindrome di Down (che però riguarda appena lo 0,15% dei nati e viene rilevata nell’1,5% delle amniocentesi), mentre con la Ngpd «riusciamo a individuare anche le più gravi patologie genetiche», dice Giorlandino. Precisando: «Le malattie genetiche sono rare ma i malati sono tanti: su cento nati, a un anno quasi otto manifestano anomalie. In Italia tre milioni di persone sono portatrici di una malattia genetica».

Le malattie diagnosticabili
Le possibilità offerte dal sequenzionamento del genoma sono teoricamente infinite. «Ma il rischio - riconosce Giorlandino - è che vogliamo sapere troppo. Abbiamo allora introdotto precisi criteri per restringere il campo delle malattie diagnosticabili, sviluppando un software di targetizzazione dei disordini genetici fetali». Una selezione anche «etica», perché «sarebbe inaccettabile indagare su condizioni che non rilevano sul piano della salute ma anche inutile, perché bisogna che ci si concentri solo sullo studio delle patologie più concrete che possono determinare una problematica vera e propria per il nascituro». Di qui la scelta - spiega il biologo Alvaro Mesoraca, che lavora nel centro romano privato di cui Giorlandino è direttore sanitario, «di rilevare mutazioni genetiche responsabili di malattie note che abbiano un’incidenza fino a un caso ogni 20mila nati». Una volta effettuato l’esame e informata la coppia, il file con tutte le informazioni viene distrutto per evitare, spiega Giorlandino, «un utilizzo non etico di questi dati sensibili».

Rischio di abortività crollato allo 0,1%
Certamente a monte deve esserci la scelta di sottoporsi al prelievo del liquido amniotico tramite villocentesi all’11esima settimana di gravidanza o tramite amniocentesi tra la 16esima e la 18esima. Scelta che molte donne rifiutano di fare, spesso anche per paura di perdere il bambino. Ma il ginecologo Pietro Cignini, esperto di diagnosi prenatale, chiarisce: «Il rischio di abortività dell’1% è obsoleto e anacronistico: si riferiva a 30 anni fa, quando non c’era il supporto ecografico, quando gli aghi erano molto più spessi e quando l’esperienza degli operatori era esigua. Oggi gli ultimi studi randomizzati dimostrano che le percentuali di rischio sono di gran lunga inferiori: 0,1% per l’amniocentesi e 0,2% per la villocentesi. Di fatto non c’è una differenza statisticamente significativa con il rischio di abortività che si corre senza sottoporsi ad alcun esame».

«Nessuna deriva eugenetica»
La Ngpd apre scenari totalmente inediti che faranno discutere. «Non si punta assolutamente al “bambino perfetto”», afferma però Paolo Scollo, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo). «Il nostro dovere di ginecologi è quello di fornire alle donne e alle coppie più informazioni possibili». Perché c’è un risvolto medico-legale di cui non si può non tenere conto: le sempre più numerose sentenze (tre in particolare della Cassazione civile: n. 2354/2010, n. 16754/2012 e 27528/2013) che individuano come cruciale il ruolo dell’informazione completa e aggiornata alla coppia per non ledere il diritto all’autodeterminazione e consentire scelte consapevoli. Imponendo ai ginecologi di informare correttamente sulle tecniche di diagnosi prenatale esistenti e persino su eventuali carenze di quelle utilizzate. Resta poi ai futuri genitori ogni decisione finale, che sicuramente si fa sempre più informata (“sapere” permette anche di intervenire prontamente alla nascita, ad esempio nel caso di malformazioni cardiache). Ma la decisione si fa anche più difficile, perché corre sul crinale sottile e ambiguo della differenza tra “bambino perfetto” e “bambino sano”.

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