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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2014 alle ore 18:23.
L'ultima modifica è del 05 novembre 2014 alle ore 18:23.

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Carlo Azeglio Ciampi (Ansa)Carlo Azeglio Ciampi (Ansa)

Pubblichiamo uno stralcio dal libro «Non è il Paese che sognavo»(Il Saggiatore) che il presidente Carlo Azeglio Ciampi ha scritto in collaborazione con Alberto Orioli in occasione della celebrazione dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Il colloquio risale al 2010

«La nascita del mio governo nel '93 diventa sempre ricordo di vicende misteriose, ma forse viste oggi non troppo, e comunque dolorosissime. Basta rivivere quei giorni: divento presidente del Consiglio e cominciano a scoppiare bombe. Via Fauro prima, ma ciò potrebbe essere spiegabile come un fatto “privato” tra la mafia e Costanzo, “reo” di aver organizzato qualche uscita pubblica antimafia particolarmente efficace. Ma poi la bomba ai Georgofili di Firenze, con morti; la notte delle bombe a Milano e a Roma, tre ordigni in mezz'ora, con morti a Milano e feriti a Roma e danni ingenti dovuti al crollo del pronao di San Giorgio al Velabro e anche a San Giovanni.

Nel contempo un lungo black out nelle linee telefoniche a Palazzo Chigi. Cosa c'era dietro a tutto questo? E se fosse stato un inizio di golpe? Le bombe continuarono: lo hanno accertato le forze di polizia. A dicembre non scoppiò, per puro caso di fortuna, una bomba all'Olimpico. Sarebbe stata una strage terrificante. Si è saputo poi che era stato preparato dell'esplosivo per danneggiare la torre di Pisa, per fortuna scoperto dagli inquirenti. Insomma, tutto questo cessa quando io mi dimetto. Non fa pensare? È stato accertato di recente grazie alle confessioni di Spatuzza e Ciancimino che i manovali di quelle bombe erano della mafia. Ma i mandanti chi erano? Temo che non lo scopriremo mai. L'unico che aveva potuto indagare con profitto su questi episodi era il sostituto procuratore Chelazzi. Purtroppo è morto prematuramente.

Mi ricordo l'interrogatorio che lui e il procuratore Vigna fecero a casa mia, sentendomi come testimone. Chelazzi era convinto di arrivare a qualcosa; era l'agosto del '96. Poi nulla. Il terzo livello di quelle scelte di mafia (e non solo temo) non si conoscerà mai. Io mi sono interrogato spesso su quegli attentati: ho pensato che erano stati organizzati perchè la mafia vedeva in me un presidente del Consiglio di cui certo non poteva fidarsi. Ero distante dal mondo della politica: avevo sempre seguito la regola, come civil servant, di stare lontano dai palazzi del potere. Da governatore della Banca d'Italia mantenni sempre e solo rigidi rapporti istituzionali improntanti alla più assoluta indipendenza, ero – se così si può dire – lontanissimo dai riti e dalle liturgie della politica.

Però il Parlamento, del tutto delegittimato da Tangentopoli allora, prese bene la mia scelta. Ricordo la frase di Giorgio Napolitano allora presidente della Camera: «Carlo, da quando ci sei tu, il clima qui è cambiato». Mi fece molto piacere e fu per me di grande incoraggiamento. «Del resto – continua Ciampi – potevo perfino risultare ingenuo. E ancora adesso, se ripenso a come dovetti lasciare l'incarico di premier mi resta qualcosa di inspiegabile, se non con le attitudini e i metodi propri di una politica di palazzo, delle congiure, alle quali ero del tutto estraneo».

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