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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2014 alle ore 06:40.

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LONDRA
La Gran Bretagna è più ricca grazie agli immigrati dall'Unione Europea: lo dimostra un autorevole studio pubblicato ieri nell'Economic Journal. Negli ultimi dieci anni i cittadini Ue che si sono trasferiti oltre Manica hanno dato un contributo netto di 20 miliardi di sterline al Tesoro britannico, versando molto più in tasse di quanto abbiano ricevuto in sussidi o aiuti statali.
Lo studio ha provocato una polemica immediata a Westminster, dato che contraddice il quadro dipinto da molti politici britannici di turismo del welfare e immigrati Ue che sono un peso per lo Stato. Immigrazione e rapporti con Bruxelles sono diventati i temi caldi della campagna elettorale in vista del voto del maggio 2015. Il crescente successo di Ukip, il partito che chiede un'uscita immediata dalla Ue come unico mezzo per chiudere le frontiere, ha spinto David Cameron a unirsi al coro assumendo toni più aspri. Il premier ha dichiarato di voler porre limiti al numero di immigrati dalla Ue, entrando in rotta di collisione anche con il cancelliere tedesco Angela Merkel, che ha avvertito che il principio della libera circolazione delle persone e dei lavoratori «non é negoziabile».
"The Fiscal Impact of Immigration in the Uk" si inserisce cosí come una nota di realtà nella cacofonia di opinioni e travisazioni dei fatti. Dati e cifre alla mano, i due economisti autori dello studio, Christian Dustmann di University College London e Tommaso Frattini dell'Università degli Studi di Milano, dimostrano che «l'immigrazione in Gran Bretagna dal 2001 a oggi ha avuto un impatto fiscale netto molto positivo. Questo vale sia per gli immigrati dall'Europa centrale e orientale che per il resto della Ue».
I cittadini dei dieci Paesi dell'Est Europa che hanno aderito alla Ue nel 2004 hanno pagato tasse per 5 miliardi di sterline tra il 2001 e il 2011, mentre quelli dei 15 Paesi originali, Italia compresa, hanno contribuito 15 miliardi, il 64% in più di quanto hanno ricevuto. I dati ufficiali dell'Office for National Statistics confermano che il tasso di disoccupazione è più basso tra gli immigrati Ue che tra i cittadini britannici. I polacchi, in particolare, lavorano più di tutti.
Diversa la situazione per gli immigrati dai Paesi extra-europei, che sono costati 118 miliardi di sterline negli anni tra il 1995 e il 2011. Loro sì che hanno gravato sulle casse dello Stato, «non diversamente dai cittadini britannici», sottolinea lo studio, che nello stesso periodo hanno pesato per 591 milioni di sterline. Il deficit britannico sarebbe ancora più alto senza le tasse pagate dagli immigrati Ue.
«Noi non abbiamo un'agenda politica ma ci siamo posti una domanda di ricerca, - ha detto ieri Frattini a Il Sole 24 Ore. -L'impatto fiscale dell'immigrazione Ue è stato positivo, e questo è un dato di fatto. Chi vuole porre limiti è liberissimo di farlo, ma deve trovare altre motivazioni».
Il sottosegretario all'Immigrazione, il conservatore James Brokenshire, ieri ha dichiarato che il vero problema è che «l'immigrazione netta dalla Ue é più che raddoppiata negli ultimi 18 mesi, periodo non coperto dallo studio. Quindi Cameron ha perfettamente ragione a sollevare il problema e a dire che questi livelli sono insostenibili». L'immigrazione più recente ha altri vantaggi, secondo lo studio: la Gran Bretagna è il Paese europeo che attrae più immigrati laureati e altamente qualificati, grazie all'economia in ripresa e un mercato del lavoro flessibile. Oltre il 60% degli immigrati Ue ha una laurea, contro il 24% dei lavoratori nati in Gran Bretagna. Per creare lo stesso livello di "capitale umano" il Regno Unito dovrebbe spendere 6,8 miliardi di sterline per istruire i propri cittadini, secondo i calcoli di Dustmann e Frattini.
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