Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2014 alle ore 06:39.
L'ultima modifica è del 07 novembre 2014 alle ore 06:48.

My24

«Dopo più di 40 anni sotto il giogo di un dittatore, le storiche elezioni di oggi sottolineano come il futuro della Libia sia nelle mani della popolazione libica». Al pari di altri capi di Stato, il presidente americano Barack Obama aveva peccato di ottimismo. Perché da allora le cose sono precipitate. Tripoli è caduta nelle mani di una coalizione di islamisti, il Paese è spaccato, e il grave episodio avvenuto ieri potrebbe rivelarsi fatale. A soli quattro mesi dal voto, la Camera dei rappresentanti, il nuovo Parlamento libico riconosciuto dalla comunità internazionale, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Suprema.
È un verdetto che rischia di far precipitare la Libia in una guerra civile aperta : «Sosteniamo lo sforzo per impedire un ulteriore deterioramento della situazione e lo scivolamento verso la guerra civile, il rischio è molto grande», ha sottolineato ieri il neo ministro italiano degli Esteri Paolo Gentiloni.
Di fatto la Corte ha annullato l'emendamento che aveva consentito le elezioni lo scorso 25 giugno, invalidando il risultato delle urne e dunque tutte le decisioni che ne hanno fatto seguito. Elezioni definite trasparenti dalla comunità internazionale in cui si erano affermate forze più moderate e in parte più rappresentative delle realtà locali. Forse un po' frettolosamente. Perché in diverse città non si era votato. Perché se in Libia gli aventi diritto al voto sono circa tre milioni, quelli che sono riusciti a registrarsi sono stati 800mila, e quelli che hanno votato 500mila. La legge numero 20, il provvedimento che escludeva la candidature di una serie di soggetti, era stato poi motivo di scontento.
Non è ancora stata diffusa la motivazione della massima autorità giudiziaria della Libia. Ma alcune fonti sostengono sia stata sollecitata anche dalle proteste di un deputato islamista, Abderrauf al-Manai. Appellandosi alla Costituzione - ancora provvisoria - al-Manai, insieme ad altri onorevoli, aveva boicottato le sedute del Parlamento a Tobruk. Motivo: incostituzionali, perché la Carta prevedeva che il Parlamento doveva insediarsi a Tripoli e riunirsi a Bengasi, il capoluogo della Cirenaica.
L'ex regno di Gheddafi è in balia di una situazione esplosiva che ha generato due parlamenti e due governi: da un parte il primo ministro Abdullah al-Thani e il suo nuovo - e più "laico" - governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Un esecutivo, tuttavia, trasferito a Tobruk, ai confini con l'Egitto, a 1.300 chilometri da Tripoli, per ragioni di sicurezza. E che non controlla neanche alcune città circostanti. A meno di due ore la città di Derna è stata proclamata Califfato dagli estremisti di Ansar al-Sharia, che non ha esitato a dichiarare l'alleanza con l'Isis. Più a Sud, Bengasi è teatro di una guerra aperta tra milizie islamiche e forze governative. Quanto alla Tripolitania, da più di tre mesi è in mano a una coalizione islamista composta da più anime. Dalle milizie di Misurata, che guidano l'alleanza Fajr Libia, e che l'hanno strappata alle milizie di Zintan, e dagli onorevoli della Fratellanza musulmana.
Già tre giorni fa tirava una brutta aria. «Quel Parlamento non è accettato dai libici e ha perduto ogni legittimità: servono delle nuove elezioni» aveva avvertito Omar al-Hassi, l'autoproclamato premier libico alla guida di quell'Esecutivo instaurato a Tripoli dalle milizie islamiche di Fajr Libia. «I deputati non riconosceranno un verdetto deciso sotto minaccia armata», ha scritto da Tobruk il parlamentare Issam al-Jehani. Il quale, come molti altri libici, ritiene che la Corte sia stata minacciata da milizie islamiche.
In una situazione incandescente, il grave episodio di martedì rischia poi di gettare benzina sul fuoco. Dopo intensi scontri a fuoco, un gruppo armato non ancora identificato ha occupato uno dei più grandi giacimenti petroliferi del Paese, el-Sharara, nelle regioni meridionali. È l'ennesimo colpo all'industria petrolifera nazionale, che aveva dato decisi segnali di ripresa nonostante la cronica instabilità politica nel Paese. Senza el-Sharara la produzione scenderebbe da un milione di barili al giorno a 800mila barili. Per un Governo, il cui budget - già più volte mutilato - si basa quasi esclusivamente sulle entrate energetiche è una pessima notizia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi