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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2014 alle ore 10:40.

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Il muro di Berlino è riapparso 25 anni dopo lasciando dietro di sé una scia luminosa, come i fantasmi.

La capitale tedesca per tre giorni è nuovamente segnata dalla linea che dal 1961 al 1989 ha separato due mondi, un continente, un popolo, una città. Stavolta è una linea leggera, quasi eterea, un confine di 8mila sfere di luce – Lichtgrenze - che nel buio sembrano galleggiare. La nuova ed effimera barriera (domenica sparirà) corre per quindici chilometri da Nord a Sud-Est: Bornholmer Strasse, Mauerpark, poi il Memoriale del Muro in Bernauer Strasse, davanti al Reichstag e alla Porta di Brandeburgo, attraverso Checkpoint Charlie e come capolinea l'East Side Gallery, dove resiste il pezzo di Muro più lungo della città, affacciato sulla Sprea, tutto graffiti, turisti da ogni angolo del mondo e selfie.

La festa è coerente con lo stile e la ragion d'essere di Berlino, una sobria spettacolarità che non nega e nasconde nulla agli abitanti e ai visitatori. E' una metropoli trasparente, esibisce le stratificazioni della storia così come i disegni tecnici mostrano in sezione i dettagli di oggetti, case, strumenti e apparecchiature.

Trasparente è la cupola del Reichstag, dalla quale si può osservare l'attività del Parlamento. Stratificato come pochi è il quadrilatero racchiuso tra Leipziger Strasse, Wilhelmstrasse, Niederkirchnerstrasse e Stresemannstrasse, a ridosso di Potsdamer Platz. Qui si concentrano e si toccano pezzi del Muro, che a sua volta delimita il centro di documentazione “Topografia del Terrore”, l'area in cui sorgevano i centri di comando del Terzo Reich. Si affaccia l'austero e imponente ministero delle Finanze, edificio nazista in pietra arenaria che fu prima ministero dell'Aviazione poi, ai tempi della Rdt, “Casa dei ministeri”, infine sede della Treuhandstalt, l'agenzia governativa incaricata dopo la riunificazione di privatizzare le aziende dell'Est. E si erge, a completare il quadrilatero, il Martin Gropius Bau, palazzo neorinascimentale di fine ‘800 che ospita importanti mostre d'arte contemporanea.

Isherwood, Goebbels, Speer…e Bowie
Come in nessun'altra capitale europea si può leggere una memoria che è diventata esercizio permanente e rappresentazione testuale. Se il mondo celebra i 25 anni dell'unificazione tedesca ed europea, l'eccentrica Berlino e gli eccentrici berlinesi festeggiano soprattutto la riconquista delle libertà individuali a Est, l'affrancamento da un regime che come quasi tutti i regimi più ottusi e monocordi non percepì nemmeno per sbaglio l'imminenza della propria fine. «E' una città che in questi anni ha imparato a convivere con il proprio passato, senza omissioni o rimozioni. E' stato relativamente facile perché si è concentrata poco sul presente e molto sul futuro», dice Rory Maclean, lo scrittore canadese che ha eletto Berlino sua seconda patria dopo esservi approdato negli anni 70 al seguito dell'entourage di David Bowie. Autore di un bellissimo libro, “Berlin: imagine a city”, Maclean racconta la metropoli nei secoli attraverso le sue grandezze e le sue miserie, i suoi eroi e i suoi aguzzini. Una galleria composita dove transitano Christopher Isherwood e Marlene Dietrich, Joseph Goebbels e Albert Speer, Federico il Grande e il padre del neoclassicismo tedesco, l'architetto e pittore Karl Friedrich Schinkel. Secondo lo scrittore il fascino di Berlino non sta tanto nella sua bellezza – per molti discutibile - quanto nella sua unicità: «Il suo essere non è fondato sulla stabilità, ma sul cambiamento. Nessun'altra città è stata più volte così potente per poi cadere così in basso. Nessun'altra capitale è stata così temuta, odiata e poi così amata>>.

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