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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2014 alle ore 08:15.

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Il rublo continua a calare. La moneta russa sta segnando un minimo storico dopo l'altro, colpita da quella che la Banca centrale russa (Bcr) ha chiamato una «domanda da panico» di valute estere, considerate un rifugio più sicuro dai grandi risparmiatori.
Solo ieri sera, dopo una settimana di flessioni, il rublo ha recuperato un po' di terreno. Il fixing della Banca centrale ha segnato un cambio di 45,18 rubli per un dollaro (da 46,48 di giovedì) dopo aver toccato quota 48,65, e di 56,54 euro, da 57,61. Il piccolo rialzo finale è legato al timore di un intervento della banca centrale che, dopo aver lasciato la valuta libera di fluttuare da mercoledì, ha subito mostrato disagio rispetto a una flessione determinata anche dal desiderio degli investitori di testare, appunto, la pazienza e la volontà autentica dell'autorità monetaria.
Gli interventi verbali, i primi passi verso iniziative più concrete sul mercato, hanno invece accelerato ieri: la Banca centrale ha detto che la valuta è sottovalutata e che sono a sua disposizione «strumenti sufficienti per influenzare il cambio: siamo pronti ad agire in ogni momento». Il riferimento è alle riserve valutarie che la Bcr può vendere per acquistare rubli e frenarne almeno la flessione. «Negli ultimi giorni - ha aggiunto la Banca centrale – sono emersi segnali di una domanda di valute straniere dettata dal panico, e questo crea condizioni che mettono a rischio la stabilità finanziaria del paese». Secondo l'autorità monetaria, tenuto conto delle «misure prese, e della recente flessione del rublo, un ulteriore deprezzamento non è necessario».
Un intervento verbale potrebbe non essere sufficiente, in ogni caso. Dietro il rublo si muovono forze profonde, e se a volte i cambi "esagerano" i loro movimenti, è difficile contrastare le tendenze di fondo. La debolezza della valuta russa riflette quella di un'economia già destinata alla recessione dopo la brusca frenata della prima metà dell'anno, sulla quale si sono poi abbattute le sanzioni per la crisi ucraina e un calo del petrolio che promette di proseguire. La flessione del rublo, a sua volta, minaccia di far salire ulteriormente l'inflazione, che potrebbe presto raggiungere l'8,5% e ridurre il potere d'acquisto dei cittadini con ovvie conseguenze sui consumi e quindi sulla crescita.
La Banca centrale, per contrastare la prospettiva di un'accelerazione dei prezzi al consumo e del deprezzamento del rublo ha portato i tassi di interesse al 9,5% dall'8% con il grave rischio di peggiorare la situazione: il rialzo dell'inflazione non è infatti legato a un surriscaldamento della domanda, che anzi è molto debole. Inseguire le quotazioni internazionali del petrolio e il cambio potrebbe rivelarsi un errore dalle conseguenze pesanti. Anche in un sistema di inflation targeting, quello che la Bcr vorrebbe adottare al più presto.
Il deprezzamento del rublo, d'altra parte, compensa la flessione del petrolio, i cui ricavi incidono molto sui bilanci pubblici. In questo senso, la battaglia della banca centrale non è tanto una lotta contro la speculazione - che pure non manca - ma una dichiarazione di guerra verso tendenze molto radicate dell'economia russa.
Resta il fatto che le prospettive per il paese non sono facili. Il solo impatto del petrolio rischia di essere importante: secondo Ivan Tchakarov e Ekaterina Vlasova di Citigroup, una flessione di 10 dollari al barile ha un impatto medio dello 0.8% sul Pil, spalmato su un anno, con un massimo dell'1.2%; un peggioramento massimo dello 0.8% sulla posizione fiscale e dello 0.4% sulla bilancia corrente con l'estero. L'effetto delle sanzioni, che isolano il Paese soprattutto dalle nuove tecnologie e la debolezza dell'economia, esacerbata dalla "stretta" in arrivo dalla Fed che, malgrado la sua lentezza, mette in difficoltà gli emergenti più deboli.
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