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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 14:15.
L'ultima modifica è del 10 novembre 2014 alle ore 11:52.

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ROMA - Silvio Berlusconi si è arreso. Il Cavaliere ha deciso che la priorità è mantenere aperto il canale privilegiato con il premier. Le ultime resistenze sono state cancellate dalle indiscrezioni, riportate ieri su Repubblica, delle dimissioni, a inizio 2015, di Giorgio Napolitano. Il leader di Fi fin dal mattino riunisce ad Arcore amici e collaboratori per confrontarsi sul da farsi. La strada è strettissima e non lascia alternative. Ripudiare il Patto del Nazareno significherebbe rinunciare alla scelta di un Capo dello Stato condiviso. Impensabile per Berlusconi, che ha quindi rotto gli indugi dando il via libera al premio di maggioranza alla lista come chiesto da Renzi.

Ma è una resa, appunto. In questo modo Fi si consegna a sconfitta certa visto che, stando almeno ai sondaggi, è destinata ad arrivare terza e quindi non può neppure puntare sul ballottaggio che avrebbe invece più facilmente raggiunto se la competizione fosse stata tra «coalizioni». A meno che non convinca la Lega a correre sotto uno stesso simbolo, ipotesi men che plausibile visto che semmai il Carroccio di Salvini punta a cannibalizzare i voti azzurri.

Berlusconi però non aveva alternative. La partita sul Quirinale è iniziata al di là delle dichiarazioni di facciata. «Napolitano al momento è un elemento di stabilità e se sta lì non è male e solo lui deciderà quando mollare», commenta Giovanni Toti consigliere politico del Cavaliere che subito dopo però avverte: «Nessuno pensi a forzature di maggioranza». Ma quel che più deve temere Berlusconi è che si realizzi una maggioranza con un'opposizione diversa dalla sua. A tranquillizzare gli azzurri al momento ci pensa Beppe Grillo che attacca bollando come un «ricatto al Parlamento» le eventuali dimissioni del Capo dello Stato che assieme a Renzi e Berlusconi sarebbe espressione di non meglio precisati «poteri». Anche nella maggioranza però c'è nervosismo. Renato Schifani per il Ncd sottolinea che «serve massima convergenza» sulla scelta del successore di Napolitano. Il partito di Alfano non vuole essere scavalcato. E anche la minoranza Pd è in fibrillazione. Pier Luigi Bersani è certo che «Napolitano farà per il meglio», si limita a dire l'ex segretario. Ma le eventuali dimissioni del Capo dello Stato scuotono soprattutto Fi. Per Renato Brunetta sarebbero la conferma che Renzi vuole tornare a votare in primavera. Napolitano «non vuole essere colui che scioglie le Camere».

Una «profezia» che teme anche Berlusconi. Ma il Cavaliere non ha strumenti per opporsi. E lo conferma la scelta di non strappare il Patto del Nazareno. Addesso arriva però la fase più difficile: convincere il partito. Si parla della convocazione di un ufficio di presidenza già martedì che quindi precederà l'assemblea dei gruppi parlamentari indetta per giovedì (se ancora si terrà). «Forza Italia ha il dovere e il diritto di aprire una discussione all'interno per valutare verso quali ipotesi stiamo andando», ha detto ieri Raffaele Fitto, leader della minoranza azzurra che può contare su una quarantina di parlamentari nei gruppi di Camera e Senato e invece solo su 4 voti nell'ufficio di presidenza.

Comunque sia alea iacta est. Berlusconi era consapevole delle resistenze interne che vanno peraltro ben oltre la minoranza fittiana. Lo stesso cerchio magico, i fedelissimi, da Toti a Romani, da Gelmini a Bernini avevano condiviso la scelta iniziale di non consegnarsi a Renzi dando il via libera al premio di lista. Ma il quadro ora è completamente cambiato. Berlusconi vuole collaborare all'elezione del nuovo Capo dello Stato. E non c'è da fare troppe supposizioni su quale possa essere la ragione, anche se da qualche mese non se ne parla più: la grazia. L'assoluzione al processo Ruby, la fine della pena per la condanna Mediaset a febbraio, unita alla convinzione della debolezza delle accuse al processo De Gregorio sulla compravendita dei senatori lo inducono a essere meno pessimista che in passato.

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